Licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un disabile e repêchage

La Corte di Cassazione 3 luglio 2025, n. 18063 cassa la sentenza di merito pronunziata in relazione al caso di un licenziamento per soppressione del posto di lavoro di un lavoratore disabile (con notevole anzianità di servizio e  che aveva lavorato in molteplici mansioni), il quale beneficiava della L. n. 104/1992 per assistenza del coniuge disabile all’80% ed osservava fin dall’assunzione un orario di lavoro a ciclo continuo (con programmazione anticipata dei turni e godimento di due giorni di riposo ogni tre). Avendo soppresso la sua postazione di lavoro, il datore gli aveva proposto uno spostamento ad un altro lavoro con orario differente (a doppio turno), ma il prestatore aveva rifiutato la proposta, per motivi connessi alla assistenza della moglie, e si era offerto di lavorare “in qualsiasi altra mansione anche inferiore, pur di mantenere l’orario precedentemente osservato”. In esito al rifiuto di tale richiesta, il lavoratore è stato licenziato per g.m.o. “senza che la datrice di lavoro abbia esplorato la possibilità di una ricollocazione differente o abbia offerto al lavoratore altra alternativa, pur esistente in base agli atti”.

Ed infatti l’azienda ha assunto – prima e dopo il licenziamento del ricorrente – diversi lavoratori ed ha utilizzato anche svariati prestatori somministrati.

Al riguardo il ricorrente ha rilevato che “in tutti i reparti produttivi rimanevano turni a ciclo continuo e semicontinuo” e che solo la proposta aziendale a lui rivolta escludeva tale regime orario.

I giudici rilevano, alla luce della clausole di correttezza e buona fede, che il datore di lavoro “prima di estinguere il rapporto di lavoro aveva l’obbligo di offrire al lavoratore anche gli altri posti di lavoro vacanti e disponibili nell’orario di lavoro che questi già osservava e che ha successivamente riempito con l’assunzione di nuovi dipendenti”.

E siccome “il licenziamento per g.m.o. presuppone l’assolvimento dell’obbligo di dimostrare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in mansioni equivalenti o addirittura inferiori, è evidente come nel caso di specie non mancasse l’alternativa all’estinzione del rapporto e che non si potesse configurare l’impossibilità di un repêchage, solo perché il lavoratore aveva rifiutato una determinata ricollocazione per motivi personali legati all’orario di lavoro”. Tale conclusione non comporta un “sindacato sulla discrezionale organizzazione dell’impresa, posto che rientrerebbe pur sempre nell’esclusiva prerogativa datoriale individuare il più congruo assetto organizzativo e le altre posizioni lavorative da coprire con l’orario di lavoro ritenuto più consono agli obiettivi dell’impresa”. In realtà, una volta individuate tali posizioni nell’organico aziendale, da parte del datore di lavoro, non è configurabile un potere legittimo di licenziare il dipendente occupato nello stesso orario con mansioni compatibili, in quanto si rivela “non effettiva l’esigenza di sopprimere la sua posizione professionale addotta nel provvedimento impugnato come conseguenza inevitabile della soppressione del posto di lavoro”.

La Corte, ripercorrendo gli indirizzi della giurisprudenza consolidata, precisa altresì che:

a) la giustificazione del recesso fondato su un motivo oggettivo inerente all’interesse dell’impresa deve essere integrato dall’impossibilità di impiegare convenientemente il dipendente da licenziare in un altro posto di lavoro. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 128/2024, ha poi affermato che l’art. 3, co. 2, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 si applica anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore;

b) “il recesso datoriale deve rappresentare sempre una extrema ratio…, non il frutto di un insindacabile arbitrio”, la quale “trova la sua giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro (artt. 4, 35 e 41, 2 comma Cost.) che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore” (v. Corte Cost. n. 59/2021, in q. sito con nota di F. BELMONTE e Cass. n. 24882/2017, annotata in q. sito da A. LARDARO);

c) qualora la collocazione alternativa al licenziamento comporti l’assegnazione a mansioni inferiori, il datore di lavoro, tenuto conto della organizzazione aziendale vigente al momento del licenziamento e della capacità professionale del lavoratore (v. art. 2103, co. 2, c.c. e Cass. n. 17036/2024, in q. sito con nota di F. DURVAL), è tenuto a “prospettare al lavoratore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata dal lavoratore” (cfr. fra tante, Cass. 2739/2024, annotata in q. sito da F. BELMONTE e Cass. n. 29099/2019);

d) nel caso di lavoratore che fruisca della legge n. 104/1992, il repêchage deve essere effettuato (Cass. n. 13934/2024) nel rispetto, oltre che dei principi di buona fede e correttezza, del bilanciamento tra gli interessi e i diritti del lavoratore e del datore di lavoro “sotteso alla disciplina di sostegno degli invalidi che richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà” (Cass. n. 23857/2017). Tale bilanciamento è operato dal giudice, tenuto a valorizzare il bisogno di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore “ogni volta che le esigenze tecniche, organizzative e produttive non risultino effettive e comunque insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte” (v. Cass. n. 25379/2016 e n. 9201/2012);

e) laddove si configuri una impossibilità di collocare altrove il lavoratore e si proceda al recesso del medesimo, l’insussistenza di tale impossibilità determina, nel regime della legge n. 92 del 2012, l’applicazione della tutela reintegratoria ex art. 18, co. 7 e 4, Stat. Lav. (Cass. nn. 30143/2023; 31451/2023 e 35496/22).

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE 3 LUGLIO 2025, n. 18063

FATTI DI CAUSA

– La Corte di appello di Bologna, con la sentenza in atti, ha accolto il reclamo proposto da CE.AT. Spa avverso la sentenza del Tribunale di Modena che, confermando l’ordinanza emessa in fase sommaria, aveva annullato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a Ja.Ha. intimato il 30.6.2022 per non aver tenuto conto dell’esigenze del lavoratore titolare dei benefici di cui alla L. 104/92 ai fini dell’assistenza alla moglie gravemente invalida, in particolare nel prospettare la sua ricollocazione in un orario diverso da quello c.d. a ciclo continuo-semicontinuo sempre goduto dal lavoratore nei vent’anni di rapporto.

– Andando in contrario avviso, la Corte di appello ha sostenuto che il datore di lavoro aveva adeguatamente ottemperato all’obbligo di rinvenire un impiego alternativo posto che – in base all’accordo sindacale del 28.4.22 – era stata proposta al Ja.Ha. e ad altri tre colleghi i cui posti di lavoro erano stati soppressi la ricollocazione nella posizione di carrellista nel reparto spedizione, con articolazione oraria su doppio turno.

– Ad avviso della Corte era ingiustificato il rifiuto del lavoratore di accettare detta posizione secondo la preferenza esternata in sede di conciliazione ex art 410 c.p.c. presso l’ITL avendo in quella sede il lavoratore richiesto di poter essere adibito a qualsiasi lavoro anche inferiore purché su orario di lavoro a ciclo continuo.

– Secondo la Corte territoriale attribuire rilevanza a tale rifiuto, come aveva fatto il Tribunale, significava negare la esclusiva discrezionalità del datore di lavoro in materia di organizzazione e gestione dell’impresa ex art. 30 legge n. 183/2010.

– Inoltre le ragioni per cui gli impegni di cura ed assistenza del coniuge disabile dovessero assicurarsi solo con l’orario a ciclo continuo e non con il nuovo orario articolato dal datore di lavoro sul doppio turno non erano provate ed erano generiche.

– In particolare sul punto la Corte bolognese ha pure condiviso quanto osservato dal datore di lavoro secondo cui le esigenze di cura del familiare non potevano essere impedite da un regime a giornata che consentiva al lavoratore di essere presente dal tardo pomeriggio al mattino successivo con piena disponibilità all’assistenza il sabato e la domenica; il ciclo continuo invece si presentava come un regime implicante turnazioni sempre mutevoli settimana per settimana, con alternanza delle presenze al lavoro in turni sempre diversi su tre fasce orarie (4-12, 12-20, 20-04) con una inevitabile complicazione, certo maggiore in termini di copertura assistenziale.

– In conclusione, secondo la Corte territoriale il licenziamento era legittimo ed il lavoratore andava condannato a restituire quanto percepito in forza della riformata pronuncia di primo grado.

– Avverso la sentenza Ja.Ha. ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi ai quali ha resistito CE.AT. Spa. Le parti ed il procuratore generale hanno depositato memorie prima dell’udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

– Con il primo motivo si deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’effettiva impossibilità di ricollocazione del lavoratore in una diversa fascia oraria alla luce del compendio probatorio in atti; in particolare l’omessa considerazione del fatto allegato in giudizio e risultante dal LUL depositato dalla società datrice ex art. 210 c.p.c. (art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c.), che attestava l’assunzione di altri lavoratori nell’orario di lavoro a ciclo continuo richiesto dal lavoratore.

– Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione artt. 3 e 5 L. 604/66, artt. 1175 c.c. e 1375 c.c., art. 2103 c.c., art. 41 Cost. in relazione all’obbligo di repêchage e dei principi di correttezza e buona fede nello scrutinio delle possibilità di ricollocamento del dipendente (art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.), non avendo il datore di lavoro dedotto alcuna ragione oggettiva a fondamento della ricollocazione del lavoratore nell’orario a doppio turno , né alcuna ragione oggettiva per rifiutare l’orario di lavoro indicato dal lavoratore a ciclo continuo o semi continuo ; non avendo la Corte d’Appello compiuto alcun bilanciamento di interessi tra la libertà di iniziativa economica ed i valori sociali indicati nell’art. 41, 2 comma Cost. Il datore di lavoro occupava diverse centinaia di dipendenti ed aveva in organico 29 lavoratori con orario a ciclo continuo o semicontinuo ed aveva offerto ad altri l’orario richiesto dal lavoratore che fruiva della legge 104/92 ed aveva una professionalità tale da poter essere adibito a plurime tipologie di mansioni.

– Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione art. 33 L. 104/92, artt. 1, 2, 3, 5, 10 e 17 Direttiva 2000/78/CE in relazione all’obbligo di repêchage del lavoratore caregiver che assiste la moglie disabile, ai doveri di cui all’art. 2103 c.c., nonché alla valutazione delle prove ex art. 115 c.p.c. e 116 c.p.c., ai fini dell’applicazione delle tutele di cui all’art. 18 L. 300/70 (art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.). L’orario di lavoro a ciclo continuo o semi continuo era l’unico che consentiva al lavoratore di potersi organizzare in tempo utile sia per assistere, sia per accompagnare la moglie disabile alle molteplici visite mediche negli orari di disponibilità delle strutture pubbliche ovvero nella mattinata o nel primo pomeriggio. In ogni caso non poteva essere il datore ad indicare quali fossero gli orari più consoni per prendersi cura della moglie, ancor più dopo vent’anni di orario di lavoro svolto sempre con certe modalità e con inevitabili riflessi sull’organizzazione dei tempi di vita, di cura e di assistenza.

– Con il quarto motivo si sostiene la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’omessa pronuncia da parte del Giudice di merito circa l’applicabilità dell’art. 18, commi 1-3 L. 300/70 in via alternativa all’art. 18, commi 4-7 L. 300/70 (art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c.), non avendo il giudice di appello pronunciato sulla domanda (alternativa) di discriminatorietà, ritorsività, ed in senso lato di illiceità del licenziamento proposta in primo grado e riproposta in appello, avendo il lavoratore dimostrato sia il c.d. fattore di rischio determinato dal coniuge convivente disabile, sia la possibilità di essere ricollocato in altri orari.

– Con il quinto motivo si sostiene l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’inottemperanza datoriale alla reintegra nelle more del primo grado di giudizio, idonei a fondare una diversa statuizione finale sulla condanna alla restituzione somme.

– I primi tre motivi di ricorso censurano la sentenza della Corte di appello di Bologna per la mancata osservanza dei principi esistenti in tema di assolvimento dell’obbligo di repêchage da parte del datore, su cui è necessario operare una sintetica ricostruzione.

– Deve essere ricordato che l’onere del reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, sebbene non costituisca un requisito espresso a livello normativo, è stato elaborato dalla giurisprudenza di legittimità sulla base del principio generale secondo cui il recesso datoriale deve rappresentare sempre una extrema ratio; ed esso trova la sua giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro (artt. 4, 35 e 41, 2 comma Cost.) che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore (Cass. n. 24882/2017). Pertanto la giustificazione del recesso fondato su un motivo oggettivo inerente all’interesse dell’impresa è necessario sia integrata dall’impossibilità di impiegare convenientemente il dipendente da licenziare in un altro posto di lavoro.

Tali presupposti si raccordano tutti all’effettività ed alla genuinità della scelta organizzativa del datore di lavoro, quale presidio atto a garantire che il licenziamento rappresenti “pur sempre una extrema ratio e non il frutto di un insindacabile arbitrio”, come afferma la Corte Cost. n. 59/2021.

Inoltre è stato affermato da questa Corte che ove la collocazione alternativa al licenziamento – esistente in azienda – comporti l’assegnazione a mansioni inferiori, il datore è tenuto a prospettare al lavoratore il demansionamento, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, potendo recedere dal rapporto solo ove la soluzione alternativa non venga accettata dal lavoratore (cfr. Cass. n. 10018 del 2016; v. pure Cass. n. 23698 del 2015; Cass. n. 4509 del 2016; Cass. n. 29099 del 2019, 2739 del 2024).

In particolare, secondo il novellato art. 2103, 2 comma c.c. il datore è obbligato a ricollocare il lavoratore anche in mansioni inferiori tenuto conto della organizzazione aziendale vigente al momento del licenziamento e della capacità professionale del lavoratore (Cass. n. 17036/2024).

Inoltre, quando il lavoratore fruisca della legge n. 104/1992, il repêchage deve essere pure effettuato in modo particolarmente pregnante (Cass. n. 13934/2024) nel rispetto di buona fede e correttezza e del bilanciamento sotteso alla disciplina di sostegno degli invalidi che richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà (Cass. n. 23857 del 2017); spettando al giudice procedere al necessario bilanciamento, imposto dal quadro normativo nazionale e sovranazionale, tra gli interessi e i diritti del lavoratore e del datore di lavoro, ciascuno meritevole di tutela, valorizzando le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore ogni volta che le esigenze tecniche, organizzative e produttive non risultino effettive e comunque insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte (v. Cass. n. 25379 del 2016; n. 9201 del 2012).

10.- Sul piano della tutela, l’impossibilità di collocare altrove il lavoratore completa la valutazione sul “fatto” che sorregge la decisione di recesso, la cui insussistenza determina, nel regime della legge n. 92 del 2012, l’operare della tutela reintegratoria ex art. 18, commi 7 e 4, St. Lav. (Cass. nn. 30143/2023;31451/2023, 35496/22, 34049/22, 33341/22).

Con la recente sentenza n. 128/2024 la Corte Cost. ha inoltre affermato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 nella parte in cui non prevede che si applichi anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore.

– Alla luce di tali premesse di diritto, deve essere considerato che nel caso di specie si discute del licenziamento per soppressione del posto di lavoro di un lavoratore che aveva un’anzianità di servizio di 20 anni, che aveva lavorato in molteplici mansioni, beneficiava della legge n. 104/1992 per assistenza del coniuge disabile all’80% ed osservava fin dall’assunzione un orario di lavoro a ciclo continuo (con programmazione anticipata dei turni e godimento di due giorni di riposo ogni tre). È pacifico altresì che essendo stata soppressa la sua postazione di lavoro, il datore gli aveva proposto uno spostamento ad un altro lavoro con orario differente (a doppio turno) e che il lavoratore ha rifiutato la proposta, per ragioni legate alla assistenza della moglie, offrendosi di lavorare in qualsiasi altra mansione anche inferiore, pur di mantenere l’orario precedentemente osservato. In esito a tale richiesta il lavoratore è stato appunto licenziato per g.m.o. senza che la datrice di lavoro abbia esplorato la possibilità di una ricollocazione differente o abbia offerto al lavoratore altra alternativa, pur esistente in base agli atti.

– Ed invero risulta pure dagli atti di causa che la datrice di lavoro ha assunto – prima e dopo il licenziamento del ricorrente avvenuto il 30.6.22 – diversi dipendenti ed ha utilizzato anche svariati lavoratori somministrati.

– In particolare dal LUL prodotto in giudizio, e riprodotto nel ricorso per cassazione, risultano le assunzioni postume dei seguenti lavoratori: Do.Si. assunto l’1.12.22; Ga.Lu. assunto l’1.11.22; Po.Vi. assunto l’1.09.22.

– Il ricorrente aveva pure allegato lo stesso fatto nella propria memoria in appello (pag. 19) rilevando come a fronte della disponibilità di lavorare in altri orari “la Società resistente, peraltro, incrementava la forza lavoro utilizzata in tutti i reparti, anche nei vari ambiti produttivi, sia nello stabilimento di F che di S: ciò sia in virtù di assunzioni dirette che mediante plurimi contratti di somministrazione. IN TUTTI I REPARTI PRODUTTIVI RIMANEVANO TURNI A CICLO CONTINUO E SEMICONTINUO: solo la proposta effettuata al sig. Ja.Ha. escludeva tale regime orario”.

– A pag. 22 e segg. della memoria di costituzione in appello il ricorrente richiamava inoltre il fatto risultante ” dall’estratto LUL della sussistenza in forza di almeno 29 operai D2 con orario a ciclo continuo-semicontinuo, di cui… almeno 3 erano stati assunti successivamente al licenziamento del sig. Ja.Ha.”.

– Orbene, su tale fatto, la Corte di appello non ha operato valutazione di nessuna natura incorrendo pertanto nella violazione denunciata in ricorso ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. che ha riguardo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Nel caso di specie si viene a configurare nella sentenza impugnata proprio tale vizio dato che il datore di lavoro, in virtù dei richiamati principi e delle correlate clausole di buona fede e correttezza, prima di estinguere il rapporto di lavoro aveva l’obbligo di offrire al lavoratore anche gli altri posti di lavoro vacanti e disponibili nell’orario di lavoro che questi già osservava e che ha successivamente riempito con l’assunzione di nuovi dipendenti.

– E invero, se il licenziamento per g.m.o. presuppone l’assolvimento dell’obbligo di dimostrare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in mansioni equivalenti o addirittura inferiori, è evidente come nel caso di specie non mancasse l’alternativa all’estinzione del rapporto e che non si potesse configurare l’impossibilità di un repêchage, solo perché il lavoratore aveva rifiutato una determinata ricollocazione per motivi personali legati all’orario di lavoro.

– Inoltre, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte territoriale, la stessa conclusione non incorre nella ipotesi vietata del sindacato sulla discrezionale organizzazione dell’impresa, posto che rientrerebbe pur sempre nell’esclusiva prerogativa datoriale individuare il più congruo assetto organizzativo e le altre posizioni lavorative da coprire con l’orario di lavoro ritenuto più consono agli obiettivi dell’impresa. In realtà, una volta avvenuta l’individuazione di tali posizioni nell’organico aziendale ad opera del medesimo datore di lavoro, non si può configurare un legittimo potere di licenziare il dipendente occupato nello stesso orario con mansioni compatibili, rivelandosi non effettiva l’esigenza di sopprimere la sua posizione professionale addotta nel provvedimento impugnato come conseguenza inevitabile della soppressione del posto di lavoro.

– Il quarto motivo attiene invece all’omessa pronuncia sulla domanda di licenziamento illecito e discriminatorio. La Corte di appello ha constatato che sulla domanda alternativa di licenziamento discriminatorio non era intervenuto nessun accertamento in primo grado e, ciononostante, ha ritenuto che fosse necessario l’appello incidentale e che non bastasse per esaminare tale domanda la sola riproposizione effettuata dal lavoratore nella propria memoria di costituzione in appello.

Si configura in proposito un evidente error in procedendo perché il lavoratore era stato vittorioso in primo grado ed aveva pure formulato le due domande di impugnativa del licenziamento in via alternativa e non in subordine; e si trattava pure di domande che non sono tra loro incompatibili.

Pertanto, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, la Corte avrebbe dovuto esaminare anche la domanda di illiceità del licenziamento, pur in mancanza di appello incidentale, essendo sufficiente allo scopo la mera riproposizione della stessa con la memoria di costituzione in appello (Cass. nn. 33649 /2023, 8674/2017, 31136/2024).

– Per i motivi esposti occorre quindi accogliere il primo e il quarto motivo di ricorso e dichiarare assorbiti gli altri. La sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rimessione al giudice di rinvio indicato in dispositivo il quale dovrà procedere alla prosecuzione della causa in osservanza dei prefati principi e provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Nota a Cass. 3 luglio 2025, n. 18063