In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’effetto estintivo del rapporto di lavoro si verifica non dalla comunicazione dell’avvio del procedimento conciliativo, ma dal termine del preavviso, anche se lavorato o fruito sotto forma di ferie.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 15513 del 10.6.2025. Nel caso di specie, una società, con comunicazione del 22.1.2019 aveva preventivamente informato un dipendente sull’intenzione di intimargli un licenziamento per g.m.o., e aveva avviato la procedura di conciliazione dinanzi all’I.T.L. (ex art. 7, L. n. 604/1966). Successivamente, il lavoratore era stato collocato in ferie fino all’8.2.2019. Lo stesso 8.2.2019, il lavoratore aveva presentato all’INPS (ex art. 42, co. 5, D.Lgs. n. 151/2001) un’istanza di congedo straordinario biennale per assistenza alla madre disabile.
Con lettera del 9.2.2019, ricevuta l’11.2.2019, a seguito del fallimento del tentativo conciliativo, la società aveva comunicato il licenziamento con effetto dal 7.2.2019 e con esonero dal preavviso. Con nota del 12.2.2019 l’INPS aveva rigettato la domanda di congedo, in quanto, al momento della presentazione, non era sussistente alcun rapporto lavorativo, avendone la società comunicato la cessazione a far data dal 7.2.2019.
Il lavoratore aveva adito il Tribunale di Lucca, chiedendo di accertare che – al momento della presentazione della domanda di congedo – egli era ancora dipendente (determinandosi l’effetto estintivo solo in data 11.2.2019, data di ricezione della lettera di licenziamento) e la condanna dell’INPS al riconoscimento del congedo e al pagamento dell’indennità.
La Corte d’Appello di Firenze, a conferma della sentenza di prime cure, aveva rigettato la domanda, osservando che: a) ai sensi dell’art. 1, co. 41, L. n. 92/2012, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo produce effetti con effetto retroattivo dal giorno della comunicazione di avvio del procedimento conciliativo ex art. 7, L. n. 604/1966; b) l’art. 1, co. 41, L. n. 92/2012, è “inderogabile” anche da parte del datore, sicché a nulla rileva che lo stesso abbia dichiarato estinto il rapporto alla data dell’8.2.2019, anziché del 22.1.2019. Pertanto, il rapporto è da considerare estinto il 22.1.2019, ossia nel giorno in cui è stato avviato il procedimento conciliativo.
Avverso la sentenza d’appello, il lavoratore aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando che la Corte d’Appello non aveva considerato che, in data 8.2.2019 (data di presentazione dell’istanza di congedo) era ancora in ferie e, dunque, il rapporto non poteva considerarsi estinto prima della ricezione della lettera di licenziamento e, in ogni caso, l’istanza aveva efficacia sospensiva della procedura conciliativa.
La Cassazione ha accolto il ricorso, rappresentando quanto segue:
- l’art. 1, co. 41, L. n. 92/2012 prevede che “il licenziamento intimato all’esito del procedimento disciplinare (…) oppure all’esito del procedimento di cui all’art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (…) produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva; è fatto salvo, in ogni caso, l’effetto sospensivo disposto dalle norme del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità (…). Gli effetti rimangono altresì sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio occorso sul lavoro. Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato”;
- l’art. 1, co. 40, L. n. 92/ 2012, a modifica dell’art. 7, L. 604/1966, stabilisce che “se fallisce il tentativo di conciliazione (…) il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore”;
- in base all’interpretazione sistematica delle norme, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo “è una fattispecie complessa strutturata in tre fasi”: a) una prima fase in cui il datore comunica la sua intenzione di procedere al licenziamento e avvia il tentativo di conciliazione; b) una seconda fase in cui è effettuato il procedimento conciliativo (che si conclude con esito negativo); c) una terza fase in cui il datore intima il licenziamento e lo comunica al lavoratore. In tale ambito, avendo il licenziamento natura ricettizia, la data in cui lo stesso giunge nella “sfera di conoscibilità” del lavoratore (ex artt. 1334 e 1335 c.c.) rappresenta il dies a quo di decorrenza del termine di decadenza per l’impugnazione.
- ciò premesso, due sono le possibili ipotesi prospettabili:
- “il datore di lavoro comunica l’intenzione di licenziare per giustificato motivo oggettivo, avvia il relativo procedimento conciliativo ed interrompe il rapporto di lavoro”. In tal caso: a) se nella comunicazione di avvio della procedura “il datore di lavoro ha comunicato di voler licenziare con preavviso e ciononostante ha interrotto il rapporto (…), il successivo atto di licenziamento acquisterà rilevanza giuridica in modo retroattivo e tuttavia il suo effetto estintivo si produrrà non in quel medesimo momento, ma soltanto al termine del periodo di preavviso, come dichiarato e voluto nel primo atto”; b) se, invece, nel primo atto “il datore (…) ha comunicato soltanto di voler licenziare, ha taciuto sul preavviso ed ha interrotto il rapporto (…)”, potrà, nel successivo atto di licenziamento, “dichiarare di voler dare il preavviso”, e allora l’atto di licenziamento “acquisterà rilevanza giuridica in modo retroattivo e tuttavia il suo effetto estintivo si produrrà soltanto al termine del periodo di preavviso” (decorrente dalla ricezione della prima comunicazione). Se, invece, nel secondo atto il datore nulla dichiara sul preavviso, “l’effetto estintivo si produce retroattivamente al momento della comunicazione del primo atto e il lavoratore avrà diritto all’indennità sostitutiva (…)”;
- “il datore (…) comunica l’intenzione di licenziare per giustificato motivo oggettivo, avvia il relativo procedimento conciliativo ma non interrompe il rapporto”. In tal caso, il periodo in cui in concreto il rapporto ha comunque avuto esecuzione è considerato ex lege come “preavviso lavorato”. Pertanto, “il licenziamento produrrà effetto estintivo del rapporto (…) non ex tunc dal giorno del primo atto (e di avvio del procedimento conciliativo), bensì ex nunc, ossia dal momento in cui il recesso datoriale è stato adottato, rectius comunicato al lavoratore”;
- occorre, quindi, distinguere: a) la rilevanza giuridica del licenziamento che è sempre retroattiva; b) l’effetto estintivo del licenziamento che dipende “dalla scelta datoriale di intimare il licenziamento con preavviso, oppure di non interrompere il rapporto di lavoro durante il periodo di durata del procedimento conciliativo, qualificato ex lege come “preavviso lavorato”;
- il legislatore ammette che “l’effetto estintivo non si realizzi nel momento anteriore in cui è iniziato il tentativo di conciliazione, bensì nel momento in cui termina il preavviso, qualora dato, ovvero nel momento in cui, proseguita la prestazione lavorativa, termina il procedimento conciliativo”;
- nel caso di specie, la Corte ha erroneamente affermato la natura imperativa e inderogabile dell’art. 1, co. 41, L. n. 92/2012, quando, invece, avrebbe “dovuto attentamente valutare – in termini di eventuale e significativo riscontro – il comportamento in concreto tenuto dalla società, che ha scelto di non interrompere il rapporto di lavoro, bensì di collocare ripetutamente in ferie (…) il ricorrente fino all’08/02/2019, ossia fino al giorno (compreso) in cui è terminato il procedimento conciliativo con esito negativo e poi, con il secondo atto, lo ha licenziato con missiva del 09/02/2019, sia pure dichiarando che l’effetto estintivo si sarebbe retroattivamente prodotto dall’08/02/2019”;
- ne consegue che l’effetto estintivo “giammai potrebbe dirsi verificato alla data di avvio del procedimento conciliativo (22/01/2019)”. Poiché, il “preavviso lavorato” era terminato l’8.2.2019 in virtù della espressa scelta del datore, il quale, all’avvio del procedimento conciliativo, aveva deciso di non interrompere il rapporto e di collocare in ferie il lavoratore, è dal termine del preavviso che si verifica l’effetto estintivo del rapporto. Pertanto, la domanda di congedo (presentata in data 8.2.2019) si collocava nella piena vigenza del rapporto di lavoro.
Per quanto sopra esposto, la Cassazione ha cassato la sentenza, rinviando la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione, affinché rivaluti “se, presentata l’istanza di congedo durante il rapporto di lavoro (ossia durante il “preavviso lavorato”), quest’ultimo cada in uno stato di quiescenza o di sospensione tale da incidere ulteriormente sul piano temporale dell’effetto estintivo del licenziamento, differendolo nel tempo fino al termine del periodo di congedo”.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE 10 giugno 2025, n. 15513
Svolgimento del processo
1.- A.A. era stato assunto in data 02/09/2002 da Industria Cartaria Pieretti Spa a tempo determinato, rapporto poi trasformato in uno a tempo indeterminato.
In data 22/01/2019 aveva ricevuto comunicazione preventiva di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, rappresentato dalla soppressione della struttura informatica “technology” di cui era responsabile.
Fissato dall’ispettorato del lavoro il tentativo di conciliazione per il giorno 01/02/2019, la società lo aveva collocato in ferie dal 24/01/2019 al 31/01/2019.
Il tentativo di conciliazione era stato poi rinviato all’08/02/2019 su richiesta del A.A., che, nel giorno originariamente fissato (01/02/2019), doveva accompagnare la madre – affetta da cecità – alla vista medica per l’accertamento dello stato invalidante. La società lo aveva collocato ulteriormente in ferie per il periodo dall’01/02/2019 all’08/02/2019.
Nella giornata dell’08/02/2019 il lavoratore aveva presentato all’INPS domanda di congedo biennale per assistere la congiunta per il periodo sino al 06/02/2021. Nello stesso giorno il tentativo di conciliazione aveva esito negativo, sicché la società, con lettera del 09/02/2019, ricevuta l’11/02/2019, lo aveva licenziato con effetto dall’08/02/2019 e con esonero dal preavviso.
Con nota del 12/02/2019 l’INPS aveva rigettato la domanda di congedo, perché al momento della sua presentazione non sussisteva alcun rapporto di lavoro dipendente.
Il A.A. adiva il Tribunale di Lucca per ottenere l’accertamento che l’esatta data del licenziamento era quella dell’11/02/2019 e la condanna della società ad effettuare le dovute comunicazioni in rettifica dell’UNILAV, nel quale aveva dichiarato invece l’estinzione del rapporto di lavoro in data 07/02/2019; l’accertamento che al momento della presentazione della domanda di congedo era ancora dipendente della società; la condanna dell’INPS al riconoscimento del congedo richiesto e al pagamento dell’indennità, con anticipazione a carico della società datrice di lavoro; la declaratoria di temporanea inefficacia del licenziamento fino alla scadenza del congedo o, in subordine, la condanna della società al risarcimento dei danni; la declaratoria di illegittimità del licenziamento per violazione del repechage e la condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro.
2.- Costituitosi il contraddittorio, separate le cause relative al licenziamento dalle altre, da trattare con rito ordinario, il Tribunale respingeva le domande relative al licenziamento sia nella fase c.d. sommaria, sia a seguito dell’opposizione del lavoratore.
3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame che il A.A. aveva dichiaratamente proposto limitatamente alla domanda di accertamento della data di decorrenza del licenziamento e della sua temporanea inefficacia sino alla scadenza del periodo di congedo biennale.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della propria decisione la Corte territoriale affermava:
a) ai sensi dell’ 1, co. 41, L. n. 92/2012, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo produce effetti retroattivamente dal giorno della comunicazione con cui il procedimento ex art. 7 L. n. 604/1966 è stato avviato;
b) le uniche eccezioni sono previste in tema di tutela della maternità e della paternità, nonché degli infortuni sul lavoro;
c) sono eccezioni tassative, che non ricomprendono anche il caso in esame, disciplinato dall’ 42, co. 5, D.Lgs. n. 151/2001;
d) ne consegue che nel caso di specie il rapporto di lavoro si è estinto alla data del 22/01/2019, ossia nel giorno in cui è stato avviato il procedimento relativo al tentativo di conciliazione;
e) ciò non contrasta con la regola generale degli atti recettizi (come il licenziamento), secondo cui essi producono effetti nel momento in cui pervengono a conoscenza del destinatario, trattandosi di due profili del tutto distinti;
f) la previsione legale dell’art. 1, co. 41, L. cit. è inderogabile anche da parte del datore di lavoro, sicché a nulla rileva che la società abbia dichiarato estinto il rapporto di lavoro alla data dell’08/02/2019 anzi che del 22/01/2019;
g) ne consegue che alla data dell’08/02/2019 il rapporto di lavoro era già risolto e quindi non può essere accolta la domanda di declaratoria di inefficacia temporanea del recesso fino alla scadenza del periodo di congedo.
4.- Avverso tale sentenza A.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5.- Industria Cartaria Pieretti Spa ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria per l’adunanza camerale e nuovamente per la pubblica udienza.
7.- Il P.G., in persona dell’Avvocata Generale, ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1, co. 41, L. n. 92/2012, 1334 e 1335 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che sulla norma della legge n. 92/2012 non incidesse la regola generale dell’efficacia degli atti unilaterali recettizi. In particolare il ricorrente lamenta l’omessa considerazione del fatto che egli in data 08/02/2019 era ancora in ferie per espressa disposizione aziendale (doc. 8 fasc. di primo grado), sicché il rapporto di lavoro poteva considerarsi estinto non prima del 09/02/2019 e, in realtà, non prima dell’11/02/2019, data in cui aveva ricevuto la lettera di conferma del licenziamento, considerata la sua natura di atto negoziale unilaterale e recettizio.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1, co. 41, L. n. 92/2012, 42, co. 5, D.Lgs. n. 151/2001 e 4, co. 2, L. n. 53/2000 per avere la Corte territoriale escluso che la domanda all’INPS di congedo biennale sospendesse il decorso della procedura di tentativo di conciliazione.
I due motivi – da esaminare congiuntamente per la loro connessione – sono fondati.
2.- L’art. 1, co. 41, L. n. 92/2012 dispone: “Il licenziamento intimato all’esito del procedimento disciplinare… oppure all’esito del procedimento di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal comma 40 del presente articolo, produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva; è fatto salvo, in ogni caso, l’effetto sospensivo disposto dalle norme del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Gli effetti rimangono altresì sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio occorso sul lavoro. Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato”.
La questione interpretativa, posta dal ricorso per cassazione, attiene alla parte della norma in cui il legislatore prevede che il licenziamento “produce effetto dal giorno della comunicazione” di avvio del tentativo di conciliazione.
A tal riguardo occorre distinguere il momento in cui il recesso datoriale acquista rilevanza giuridica per l’ordinamento dal momento in cui quello stesso recesso produce l’effetto estintivo del rapporto di lavoro. Tale scissione si impone in primo luogo in considerazione sia di quella parte della norma, in cui il legislatore fa espressamente salvo il diritto al preavviso (o alla relativa indennità), sia dell’ultimo periodo della norma medesima, secondo cui “Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato”.
In tale periodo, dunque, a causa e in conseguenza dell’eventuale esecuzione della prestazione lavorativa il legislatore considera il rapporto di lavoro ancora in essere e giuridicamente rilevante, apparentemente contraddicendo la precedente previsione della retroattività dell’effetto estintivo del licenziamento sin dall’avvio del procedimento conciliativo. La salvezza del diritto al preavviso richiama infatti la disciplina dell’art. 2118 c.c. In tal modo il legislatore si riferisce evidentemente al caso in cui il datore di lavoro, all’avvio del procedimento conciliativo, abbia comunicato al lavoratore l’intenzione di licenziarlo con preavviso, volontà che il legislatore stesso intende dunque rispettare, dal momento che ne fa salvi gli effetti.
Occorre altresì considerare l’art. 1, co. 40, L. n. 92/2012, norma con cui il legislatore ha novellato l’art. 7 L. n. 604/1966 ed ha espressamente previsto che “Se fallisce il tentativo di conciliazione… il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore”.
Dunque in entrambi i commi 40 e 41 dell’art. 1 L. cit. il legislatore prevede che gli atti unilaterali del datore di lavoro siano due: il primo è destinato a comunicare l’intenzione di licenziare e ad avviare il procedimento conciliativo; il secondo è invece destinato ad estinguere il rapporto di lavoro. Ai fini del completamento della fattispecie estintiva, dunque, anche il secondo è un atto necessario. Nulla esclude infatti che, pur fallito il tentativo di conciliazione, il datore di lavoro abbia nelle more trovato nella propria azienda una posizione di lavoro alternativa per il dipendente (c.d. repechage), idonea ad evitare il licenziamento. Dunque il secondo atto datoriale è pur sempre necessario per produrre l’effetto estintivo del rapporto di lavoro.
Si è al cospetto di una fattispecie complessa, che sul piano strutturale si compone delle seguenti fasi: un primo atto con cui il datore di lavoro comunica la sua intenzione di licenziare, indica (in modo vincolante: ex multis Cass. n. 7851/2019; Cass. n. 6012/2009) il giustificato motivo oggettivo e avvia il tentativo di conciliazione; nella seconda fase si snoda il procedimento conciliativo, che termina con esito negativo; infine nella terza fase si colloca l’atto di licenziamento e la sua necessaria comunicazione al lavoratore. Ed è pur sempre la data di tale ultimo atto – rectius la data in cui esso è pervenuto nella sfera di conoscibilità del lavoratore (artt. 1334 e 1335 c.c.) – a rappresentare il dies a quo di decorrenza del termine di decadenza per la sua impugnazione.
Peraltro, quest’ultima dovrà necessariamente investire l’intera fattispecie e, dunque, entrambi gli atti, se non altro per contestare quel giustificato motivo oggettivo che risulta indicato nel primo atto (ai sensi dell’art. 7, co. 2, L. n. 604/1966, “Nella comunicazione di cui al comma 1, il datore di lavoro deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo…”). Correlativamente, anche il sindacato giurisdizionale si svolgerà sull’intera fattispecie complessa e, quindi, in primo luogo sul primo atto, in quanto contenente l’indicazione del motivo oggettivo posto a giustificazione del recesso datoriale; inoltre sul procedimento conciliativo e sul relativo comportamento tenuto dalle parti, rilevante sia ai fini della determinazione dell’indennità risarcitoria ex art. 18, co. 7, L. n. 300/1970, sia ai fini della regolamentazione delle spese processuali (art. 7, co. 8, L. n. 604/1966 come novellato dall’art. 1, co. 40, L. n. 92/2012); infine sul secondo atto datoriale.
3.- Alla luce di questa fattispecie complessa e dell’espressa salvezza del preavviso l’interprete deve allora ricercare il significato e l’ambito applicativo della norma, nonché le ipotesi prospettabili che il legislatore ha inteso disciplinare.
La prima è quella in cui il datore di lavoro comunica l’intenzione di licenziare per giustificato motivo oggettivo, avvia il relativo procedimento conciliativo ed interrompe il rapporto di lavoro.
In tale ipotesi se il procedimento conciliativo ha esito negativo e il datore di lavoro intende estinguere il rapporto di lavoro, dovrà adottare l’atto di licenziamento, che produrrà effetto retroattivamente (v. supra), ma pur sempre con salvezza del diritto al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva. Tale salvezza opera in ogni caso, sia che il datore di lavoro già nel primo atto abbia dichiarato di voler licenziare con preavviso, sia che abbia dichiarato di voler licenziare “in tronco”, ossia dispensando il lavoratore dal preavviso. Le conseguenze sono ovviamente differenti a seconda della volontà datoriale.
Se nel primo atto il datore di lavoro ha comunicato di voler licenziare con preavviso e ciononostante ha interrotto il rapporto di lavoro, il successivo atto di licenziamento acquisterà rilevanza giuridica in modo retroattivo (v. supra) e tuttavia il suo effetto estintivo si produrrà non in quel medesimo momento, ma soltanto al termine del periodo di preavviso, come dichiarato e voluto nel primo atto.
Se invece nel primo atto il datore di lavoro ha comunicato soltanto di voler licenziare, ha taciuto sul preavviso ed ha interrotto il rapporto di lavoro, nel successivo atto di licenziamento potrà ancora dichiarare la volontà di dare il preavviso oppure nulla. Se dichiara di voler dare il preavviso, allora anche in tal caso l’atto (il secondo) di licenziamento acquisterà rilevanza giuridica in modo retroattivo (v. supra) e tuttavia il suo effetto estintivo si produrrà soltanto al termine del periodo di preavviso (come dichiarato e voluto nel secondo atto) sebbene pur sempre decorrente dalla comunicazione del primo atto (e quindi dall’avvio del procedimento conciliativo) in poi. Se invece nel secondo atto il datore di lavoro nulla dichiara sul preavviso, l’effetto estintivo si produce retroattivamente al momento della comunicazione del primo atto e il lavoratore avrà diritto all’indennità sostitutiva del preavviso.
4.- La seconda ipotesi prospettabile è quella in cui il datore di lavoro comunica l’intenzione di licenziare per giustificato motivo oggettivo, avvia il relativo procedimento conciliativo ma non interrompe il rapporto di lavoro.
In tale ipotesi, a prescindere dal contenuto dichiarativo e volitivo del secondo atto datoriale, il periodo in cui in concreto il rapporto di lavoro ha comunque avuto esecuzione è considerato ex lege come “preavviso lavorato”. Qualora poi nell’atto (il secondo) di licenziamento il datore di lavoro dichiari di voler dare preavviso, allora il periodo intercorso fra il primo atto e il secondo vale ex lege pur sempre come preavviso, sicché residuerà soltanto quell’eventuale ed ulteriore periodo di preavviso previsto contrattualmente in un numero di giorni superiore a quelli già trascorsi. Se invece il datore di lavoro nulla dichiara nel secondo atto e quindi licenzia “in tronco”, al lavoratore spetterà l’indennità sostitutiva parametrata però non all’intero periodo di preavviso, bensì soltanto all’eventuale, ulteriore residuo periodo, perché quello lavorato è già qualificato ex lege come preavviso. Ai fini ermeneutici pure in tal caso resta fermo che il licenziamento produrrà effetto estintivo del rapporto di lavoro non ex tunc dal giorno del primo atto (e di avvio del procedimento conciliativo), bensì ex nunc, ossia dal momento in cui il recesso datoriale è stato adottato, rectius comunicato al lavoratore presso il suo domicilio, vista la sua natura recettizia (artt. 1334 e 1335 c.c.).
Questa è l’inevitabile conseguenza del fatto che quel periodo di esecuzione del rapporto di lavoro è qualificato dal legislatore come “preavviso lavorato”. Ciò esclude in radice la possibilità di collocare l’effetto estintivo del recesso datoriale in un momento anteriore ossia alla data di comunicazione del primo atto (e di avvio del procedimento conciliativo).
La previsione normativa va dunque intesa proprio differenziando la “rilevanza giuridica” del licenziamento dal suo “effetto estintivo”. La prima è sempre retroattiva, il secondo invece no, dipendendo dalla scelta datoriale di intimare il licenziamento con preavviso, oppure di non interrompere il rapporto di lavoro durante il periodo di durata del procedimento conciliativo, qualificato ex lege come “preavviso lavorato”.
Lo stesso legislatore, in altre parole, ammette che l’effetto estintivo non si realizzi nel momento anteriore in cui è iniziato il tentativo di conciliazione, bensì nel momento in cui termina il preavviso, qualora dato, ovvero nel momento in cui, proseguita la prestazione lavorativa, termina il procedimento conciliativo, considerato ex lege come “preavviso lavorato”. Ne consegue che la predetta scissione si impone proprio alla luce della disciplina del preavviso, che deve essere combinata con quella del tentativo di conciliazione di cui all’art. 7 L. n. 604/1966, combinazione imposta dall’interpretazione sistematica dei commi 40 e 41 dell’art. 1 L. n. 92/2012.
Laddove si ritenesse diversamente – ossia che l’effetto estintivo si produca in ogni caso retroattivamente, sin dal momento della comunicazione di avvio del tentativo di conciliazione – con riguardo al lavoro svolto durante il periodo di durata del predetto procedimento conciliativo si sarebbe al cospetto di una prestazione di lavoro di fatto (art. 2126 c.c.). Questa conclusione è però smentita dall’espressa previsione del legislatore in termini di “preavviso lavorato”, qualificazione giuridica dalla quale deriva che in quel periodo il rapporto di lavoro deve essere ritenuto ancora giuridicamente rilevante, tanto da incidere anche sul calcolo dei giorni di eventuale preavviso residuo (v. supra).
5.- La rilevanza che in tutte le ipotesi prospettabili viene assunta dalla volontà datoriale (di dare il preavviso oppure no) e dal concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro (proseguito oppure no) dipendente pur sempre da una volontaria scelta datoriale, induce ad escludere – contrariamente all’errato assunto della Corte territoriale – che la norma in esame sia di natura imperativa e quindi abbia carattere inderogabile quanto all’individuazione del momento in cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo produce l’effetto estintivo del rapporto di lavoro.
Va premesso che, secondo autorevole dottrina, con l’espressione “norma inderogabile” si adotta una prospettiva incentrata sul modo d’essere dell’interesse protetto dalla norma e, quindi, sui poteri dell’autonomia privata rispetto al precetto legale. Da ciò deriva la qualificazione dei “diritti indisponibili”, per indicare, appunto, quelle situazioni giuridiche soggettive protette in modo assoluto dall’ordinamento, al punto da non poter formare oggetto di atti dispositivi da parte dell’autonomia privata. Invece, con l’espressione “norma imperativa” la situazione è vista sotto il profilo del precetto che viene posto dalla norma, indipendentemente dal modo d’essere dell’interesse da essa protetto: il precetto si impone in ogni caso ai privati, anche contro la loro volontà.
Nel caso in esame va evidenziato in primo luogo che la norma non è posta a tutela di interessi di rango pubblicistico, né tantomeno a tutela di un principio di ordine pubblico. Neppure può dirsi che sia norma “di protezione” del lavoratore subordinato (su tale categoria v. ex multis Cass. n. 17286/2015; Cass. ord. n. 6555/2023), perché anzi la sua valenza è parzialmente pregiudizievole per il dipendente, laddove introduce un’efficacia retroattiva della volontà di recesso, la cui compatibilità con l’inquadramento del licenziamento nell’ambito degli atti unilaterali recettizi (art. 1334 c.c.) è assicurata soltanto a condizione di assegnarvi il significato sopra esposto, ossia di scindere il momento in cui il recesso datoriale acquista rilevanza giuridica da quello in cui produce l’effetto estintivo del rapporto di lavoro.
Piuttosto la norma, con riguardo al profilo in esame, è posta a tutela della certezza dei rapporti giuridici e soprattutto della vicenda relativa alla loro estinzione, ferma la necessità (e quindi l’obbligo) del preavviso (sotto quest’ultimo profilo è certamente norma posta a tutela dell’interesse del dipendente a conoscere con anticipo l’estinzione del rapporto di lavoro, per programmare adeguatamente la successiva attività lavorativa).
Quindi gli interessi considerati dal legislatore sono esclusivamente quelli delle parti del rapporto di lavoro subordinato. Pertanto da queste ultime la norma è in via di principio derogabile, sia pure soltanto in melius, ossia in favore del dipendente. Poco rileva, poi, ricondurre la norma nella categoria di quelle “dispositive” oppure di quelle “suppletive”, come sembra suggerire la clausola di salvezza del preavviso. In ogni caso la volontà datoriale di dare preavviso o di non interrompere il rapporto di lavoro durante il procedimento conciliativo è giuridicamente rilevante, perché sposta in avanti il momento in cui dovrà ritenersi prodotto l’effetto estintivo del rapporto di lavoro in virtù del recesso datoriale.
6.- La Corte territoriale non si è uniformata a questa interpretazione, ma ha attribuito alla norma una portata inderogabile in realtà inesistente già alla luce della sua formulazione e del suo tenore letterale, oltre che della ratio legis.
A fronte dell’esatta ricostruzione ermeneutica sopra indicata, i giudici di secondo grado avrebbero allora dovuto attentamente valutare – in termini di eventuale e significativo riscontro – il comportamento in concreto tenuto dalla società, che ha scelto di non interrompere il rapporto di lavoro, bensì di collocare ripetutamente in ferie l’odierno ricorrente fino all’08/02/2019, ossia fino al giorno (compreso) in cui è terminato il procedimento conciliativo con esito negativo e poi, con il secondo atto, lo ha licenziato con missiva del 09/02/2019, sia pure dichiarando che l’effetto estintivo si sarebbe retroattivamente prodotto dall’08/02/2019.
La natura derogabile della norma (nei limiti sopra esposti) avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a valutare propriamente la predetta scelta datoriale, in quanto dotata di una sua precipua valenza derogatoria (in melius) rispetto alla norma sulla retroattività dell’effetto estintivo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in termini di mantenimento della stabilità del rapporto di lavoro fino alla predetta data. Quindi è un atto negoziale di gestione del rapporto di lavoro che ha significativa rilevanza, perché permette di applicare l’altra parte della norma (interpretata nei sensi sopra esposti), che – solo in parte qua in modo imperativo – qualifica e considera tale periodo come “preavviso lavorato”.
Pertanto – contrariamente all’assunto della Corte territoriale, che, sull’erroneo presupposto ermeneutico del carattere inderogabile della norma, ha negato ogni rilevanza al predetto atto gestionale del datore di lavoro – nel caso in esame l’effetto estintivo del rapporto di lavoro giammai potrebbe dirsi verificato alla data di avvio del procedimento conciliativo (22/01/2019).
7.- A ciò si aggiunga un’ulteriore considerazione.
La Corte territoriale ha accertato in fatto che nella lettera di “conferma del licenziamento”, datata 09/02/2019, la società aveva dichiarato che l’effetto estintivo si sarebbe retroattivamente verificato sin dall’08/02/2019. Tuttavia, per quanto sopra detto, i giudici di secondo grado avrebbero dovuto ritenere tale dichiarazione tamquam non esset, ossia non idonea ad incidere sul momento – legislativamente determinato questo sì in modo imperativo a tutela del lavoratore subordinato in termini di “preavviso lavorato” – in cui si produce l’effetto estintivo del rapporto di lavoro. E nel caso di specie il “preavviso lavorato” terminava in data 08/02/2019 compreso, in virtù dell’espressa scelta della società, che all’avvio del procedimento conciliativo aveva appunto deciso di non interrompere il rapporto di lavoro e di collocare in ferie il A.A. fino all’08/02/2019 compreso. Pertanto quest’ultimo – secondo l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito – è ancora giorno di durata del rapporto di lavoro, da considerare astrattamente estinto non prima del 09/02/2019.
8.- A questo punto viene in rilievo la domanda di congedo straordinario biennale presentata dal A.A. in data 08/02/2019.
La Corte territoriale ha negato ogni effetto a tale domanda in considerazione del fatto che il rapporto di lavoro doveva considerarsi estinto in data anteriore a quella di presentazione della domanda medesima. Ma una volta venuto meno tale presupposto, in conseguenza dell’erroneità dell’interpretazione adottata, i giudici di secondo grado dovranno rivalutare la vicenda e quindi accertare se, presentata l’istanza di congedo durante il rapporto di lavoro (ossia durante il “preavviso lavorato”), quest’ultimo cada in uno stato di quiescenza o di sospensione tale da incidere ulteriormente sul piano temporale dell’effetto estintivo del licenziamento, differendolo nel tempo fino al termine del periodo di congedo. Su tale profilo è mancata la pronunzia della Corte d’Appello e anche a tali fini si giustifica il rinvio.
Al riguardo la Corte territoriale dovrà tenere conto del principio di diritto già affermato da questa Corte di legittimità, secondo cui il diritto alla conservazione del posto di lavoro del dipendente collocato in congedo straordinario ex art. 42, co. 5, D.Lgs. n. 151/2001, per la necessità di prestare assistenza ad un congiunto in situazione di disabilità grave, pone un divieto di licenziamento fondato sulla fruizione del congedo medesimo ed è finalizzato a garantire al lavoratore la certezza di un trattamento economico e di sostegno per il periodo di assistenza, analogamente a quanto avviene per la malattia. Ne consegue che il recesso datoriale intimato al lavoratore per ogni altra causa, diversa e legittima, durante la fruizione del congedo, non è nullo, bensì, al più, inefficace fino al termine dello stesso (Cass. n. 5425/2019: “3.2…. l’art. 4, comma 2, (della legge n. 53/2000) pone un divieto di licenziamento solo se fondato sulla fruizione del congedo medesimo ma non anche per ogni causa, diversa e legittima, di risoluzione del rapporto di lavoro. 3.3. La fruizione del congedo, in altre parole, non rende insensibile il rapporto di lavoro ai fatti estintivi previsti dalla legge ma, al più, pone questione di sospensione degli effetti di detti fatti (id est: del recesso) fino al termine del congedo medesimo”). Quindi il diritto alla conservazione del posto di lavoro, previsto dall’art. 4, co. 2, L. n. 53/2000, va inteso come produttivo della nullità del licenziamento solo se questo è giustificato dalla fruizione del congedo; in tutti gli altri casi tale diritto si traduce in una sospensione temporanea degli effetti del licenziamento.
A sua volta la medesima tutela è richiamata dall’art. 42, co. 5, D.Lgs. n. 151/2001, che stabilisce il diritto del coniuge convivente con soggetto portatore di handicap in situazione di gravità (accertata ai sensi dell’articolo 4, co. 1, L. n. 104/1992) di fruire del congedo di cui all’art. 4, co. 2, L. n. 53/2000, ossia di un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni. Infine, per effetto di plurimi interventi della Corte Costituzionale, tale diritto è stato esteso anche in favore di altri soggetti e, per quanto di rilievo nel presente giudizio, in favore del figlio convivente con genitore in situazione di disabilità grave (C. Cost. n. 19/2009).
9.- La sentenza impugnata va pertanto cassata ed il Giudice di rinvio si atterrà ai seguenti principi di diritto:
“l’art. 1, co. 41, L. n. 92/2012 va interpretato in modo sistematico con l’art. 1, co. 40, L. n. 92 cit. e quindi con l’art. 7 L. n. 604/1966, sicché la fattispecie estintiva del rapporto di lavoro subordinato mediante licenziamento per giustificato motivo oggettivo è una fattispecie complessa strutturata in tre fasi;
l’art. 1, co. 41, L. n. 92/2012 è norma derogabile in melius, ossia in favore del lavoratore subordinato, quanto all’individuazione del momento di produzione dell’effetto estintivo del rapporto di lavoro mediante licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
tale norma va interpretata nel senso per cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo assume rilevanza giuridica sin dal momento di avvio del procedimento conciliativo, ma il lavoratore conserva il diritto al preavviso, sicché se il preavviso è stato dato – nel primo atto di avvio della fattispecie complessa o nell’atto finale di licenziamento – l’effetto estintivo si verifica al compimento del relativo periodo, sia pure calcolato a decorrere dal primo atto della fattispecie complessa; se invece non è stato dato il lavoratore avrà diritto alla relativa indennità sostitutiva, calcolata in misura diversa a seconda che il rapporto di lavoro sia stato interrotto oppure no al momento di avvio del procedimento conciliativo”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Nota a Cass. 10 giugno 2025, n. 15513