Ordine datoriale illegittimo e rifiuto della prestazione

In materia di sanzioni disciplinari, “qualora il comportamento addebitato al lavoratore, consistente nel rifiuto di rendere la prestazione secondo determinate modalità, sia giustificato dall’accertata illegittimità dell’ordine datoriale e dia luogo pertanto a una legittima eccezione di inadempimento, il fatto contestato deve ritenersi insussistente perché privo del carattere dell’illiceità”.

Lo ha ribadito il Tribunale di Roma 28 ottobre 2024, n. 10773, in relazione ad una fattispecie concernente un lavoratore, impiegato con mansioni di operatore di esercizio, che lamentava l’illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro per la durata di 30 giorni, con congelamento degli aumenti retributivi per sei mesi (ccnl Autoferrotranvieri) per essersi rifiutato di compiere in autonomia, alla guida di un autobus, una manovra. mai eseguita prima, di inversione di marcia in quanto pericolosa per l’incolumità propria ed altrui e violativa del Codice della Strada.

In giudizio, il dipendente, nell’impugnare il provvedimento disciplinare irrogato per avere, con il proprio rifiuto, interrotto il servizio di trasporto pubblico locale e arrecato problemi organizzativi alla società, sosteneva che la propria condotta costituiva non un’insubordinazione ma una legittima forma di autotutela contrattuale a fronte  di un ordine datoriale impartito contra legem, la cui esecuzione avrebbe determinato una violazione della segnaletica orizzontale di striscia longitudinale continua e, peraltro, in prossimità di una curva, in contrasto con gli artt. 40 e 154, co. 6, D.LGS. 30 aprile 1992, n. 285 c.d. Codice della Strada (secondo cui “le strisce longitudinali continue non devono essere oltrepassate” e “l’inversione di marcia è vietata in prossimità o in corrispondenza delle intersezioni, delle curve e dei dossi”).

Come noto, il principio di corrispettività delle prestazioni, che opera nell’ambito dei contratti sinallagmatici, tra cui rientra anche il rapporto di lavoro, legittima il rifiuto del dipendente di svolgere la propria attività nei limiti di una proporzione all’illegittimo comportamento del datore e della conformità al canone della buona fede, “avuto riguardo alle circostanze concrete” (art. 1460, co. 2, c.c.).

Pertanto, a fronte di un ordine illegittimo, il mancato adempimento dell’obbligo di eseguire la prestazione lavorativa secondo le modalità impartite dall’imprenditore non costituisce una condotta di insubordinazione ma un legittimo esercizio del potere di autotutela contrattuale rappresentato dall’eccezione di inadempimento,  che consente al prestatore di salvaguardare i propri interessi a fronte di un’inadempienza datoriale grave e non di scarsa importanza e, in quanto tale, non assume rilievo disciplinare.

“Tanto che, piuttosto, la giurisprudenza ha configurato un vero e proprio obbligo in capo al lavoratore di rifiutarsi di eseguire un ordine illegittimo, le cui conseguenze, diversamente, sarebbero a lui imputabili, non potendo essere scriminate dall’ordine illegittimo”.

L’esecuzione di una direttiva illegittima impartita dal superiore gerarchico, infatti, non basta di per sé ad escludere la configurabilità in capo al lavoratore di una condotta rilevante sul piano disciplinare, poiché l’art. 51 c.p. – che esclude la punibilità di quei fatti previsti dalla legge come reati se commessi per adempiere ad un “dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità” – non opera nei rapporti di diritto privato, fra cui sono compresi quelli intercorrenti fra datore di lavoro e dipendente, e non è ad essi applicabile in quanto manca un potere di supremazia del superiore riconosciuto dalla legge (Cass. n. 28353/2023, annotata in q. sito da M.N. BETTINI; Cass. n. 23600/2018, in q. sito con nota di A. ENVAGELISTA; Cass. n. 14375/2012).

La valutazione circa la legittimità del rifiuto opposto dal lavoratore all’esecuzione di un ordine datoriale illegittimo compete al giudice di merito, che deve procedere ad una valutazione comparativa dei rispettivi comportamenti, considerando non tanto il mero elemento cronologico quanto i rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute rispetto alla funzione economico – sociale del contratto, il tutto alla luce dei reciproci obblighi di buona fede e correttezza (artt. 1175 e 1375 c.c.) e in un’ottica di bilanciamento dei diversi interessi in gioco anche alla luce dei parametri costituzionali di cui agli artt. 35, 36 e 41 Cost.

Nel caso di specie, il giudice,  verificato che  la condotta di guida richiesta comportava una violazione del Codice della Strada, nonché dei rischi per l’incolumità dell’autista, dei passeggeri trasportati e degli altri utenti della strada, e che il lavoratore aveva prontamente contattato il responsabile della centrale operativa per chiedere assistenza nell’esecuzione della manovra, ha ritenuto legittima la reazione del dipendente a fronte di un ordine datoriale che si poneva “certamente” contra legem, con conseguente annullamento della sanzione disciplinare.

Trib. Roma 28 ottobre 2024, n. 10733