“I fatti su cui si fonda il provvedimento sanzionatorio devono coincidere con quelli oggetto dell’avvenuta contestazione … sicché sussiste una modifica della contestazione disciplinare solamente ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle già contestate, non quando il datore di lavoro proceda ad un diverso apprezzamento e qualificazione dello stesso fatto”.
Lo afferma la Corte di Cassazione (ord. 16 ottobre 2024, n. 268360; v. anche Cass. 15 giugno 2020, n. 11540, in motivaz., sub p.to 7), specificando altresì che in ordine alla sussistenza di una giusta causa di licenziamento, il giudice, ai fini della formazione del proprio convincimento, può valutare gli atti delle indagini preliminari e le intercettazioni telefoniche assunte in sede penale “anche ove sia mancato il vaglio critico del dibattimento, in quanto la parte può sempre contestare nel giudizio civile i fatti acquisiti in un procedimento penale” (Cass. 2 marzo 2017, n. 5317).
Per quanto concerne in particolare il licenziamento per motivi disciplinari, di cui all’art. 7. L. n. 300/1970 (Stat. Lav.), sono pienamente utilizzabili le intercettazioni telefoniche o ambientali effettuate nel corso di un procedimento penale “purché legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti previsti dall’art. 270 c.p.p., riferibili al solo procedimento penale, né il fatto che i verbali di tali intercettazioni siano stati realizzati nella forma del cd. “brogliaccio”, senza trascrizione delle stesse, la cui assenza non le priva di ogni efficacia probatoria, giacché la prova è costituita dalle bobine e dai verbali, mentre la trascrizione si esaurisce in una serie di operazioni di carattere meramente materiale, non implicando l’acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico” (Cass. 3 gennaio 2024, n. 109).
Nella fattispecie, la Corte territoriale aveva ritenuto provati sia l’addebito principale – di omissione del lavoratore, in occasione di un sopralluogo come capo cantoniere…delle prescritte contestazioni a fronte dei lavori intrapresi…, pure essendosi avveduto del loro carattere illecito (a) – sia le residue condotte (b), sulla base delle risultanze delle intercettazioni ambientali e telefoniche (“non contestate…”) disposte in sede di indagine penale.
Ciò che conta, infatti, ai fini del giudizio civile, è la prova dei fatti, acquisita in esito alla legittima utilizzazione delle intercettazioni ambientali e telefoniche, integranti una pluralità di condotte, valutate “avuto riguardo alla natura delle mansioni affidate … e al grado di responsabilità ad esse sottese … di gravità tale da giustificare l’interruzione immediata del rapporto di lavoro e l’irrigazione della sanzione espulsiva”.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 ottobre 2024, n. 26836
Lavoro – Reclamo – Rito Fornero – Licenziamento per giusta causa – Sopralluogo come capo cantoniere – Divieto di licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati – Immutabilità della contestazione – Intercettazioni telefoniche o ambientali – Valutazione di proporzionalità – Rigetto
Rilevato che
1.con sentenza 17 gennaio 2022, la Corte d’appello di Milano ha rigettato il reclamo di R.L. avverso la sentenza di primo grado, di accertamento, in esito a rito Fornero, di legittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli da Anas s.p.a. con lettera del 28 dicembre 2020, per non avere, in occasione di un sopralluogo come capo cantoniere sulla SS 341 in data 13 aprile 2019, elevato le prescritte contestazioni a fronte dei lavori intrapresi da V.S. s.r.l., pure essendosi avveduto del loro carattere illecito;
2. come già il Tribunale, la Corte territoriale ha ritenuto:
a) inesistente la violazione del principio di immutabilità della contestazione (nella lettera del 5 ottobre 2020 essendo stati indicati i lavori ingombranti la carreggiata della SS 341 e invece nella lettera di licenziamento all’interno della sua fascia di rispetto), per essere la circostanza ininfluente, e neppure lesiva del suo diritto di difesa, rispetto alla contestazione di una pluralità di condotte gravi, in particolare di omessa sanzione dell’impresa per l’esecuzione di lavori non autorizzati (come invece avrebbero dovuto essere) dall’Anas;
b) provati i fatti contestati sulla base di elementi probatori, anche acquisiti dal procedimento penale per corruzione promosso nei suoi confronti in concorso con i titolari dell’impresa suddetta, liberamente valutabili dal giudice civile, senza alcuna preclusione derivante dal provvedimento di assoluzione del lavoratore (disponibile nel solo dispositivo del primo grado, in esito a giudizio abbreviato), non irrevocabile;
c) gravi le condotte accertate e di un grado tale, in relazione alla natura delle mansioni affidate al predetto, da giustificare l’interruzione immediata del rapporto di lavoro con la sanzione espulsiva comminata;
3. con atto notificato il 15 marzo 2022, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui la società ha resistito con controricorso;
4. entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.;
5. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1.nel rispetto dell’ordine logico – giuridico delle questioni devolute, il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 7 legge 300/1970, 111 Cost. e 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto insussistente la violazione del principio di immutabilità della contestazione, nonostante nella lettera del 5 ottobre 2020 al lavoratore sia stata addebitata l’omessa sanzione di lavori occupanti la carreggiata della SS 341 e invece in quella di licenziamento all’interno della sua fascia di rispetto, non essendo la circostanza ininfluente, per l’obiettiva diversità delle due fattispecie e delle differenti esigenze di tutela da garantire, con evidenti riflessi lesivi sull’esercizio del suo diritto di difesa; e ciò con incoerente, contraddittoria e illogica motivazione (terzo motivo);
2. esso è infondato;
3. giova in via preliminare ribadire che, in tema di procedimento disciplinare, la contestazione degli addebiti e il relativo grado di precisione risponde all’esigenza di consentire concretamente all’incolpato di approntare la propria difesa, sicché spetta al lavoratore, che si dolga della genericità della contestazione e della violazione del principio di sua immodificabilità (ricorrente quando le modificazioni dei fatti contestati si configurino come elementi integrativi di una fattispecie di illecito disciplinare diversa e più grave di quella contestata, ma non qualora, riguardando circostanze prive di valore identificativo della stessa fattispecie, esse non ostino alla difesa del lavoratore sulla base delle conoscenze acquisite e degli elementi a discolpa apprestati a seguito della contestazione dell’addebito: Cass. 26 ottobre 2010, n. 21912; Cass. 29 ottobre 2014, n. 23003; Cass. 9 luglio 2018, n. 17992; Cass. 7 agosto 2024, n. 22369), chiarire in che modo ne sia risultato leso il suo diritto di difesa (Cass. 18 aprile 2018, n. 9590; Cass. 14 ottobre 2022, n. 30271).
Inoltre, è noto il principio secondo cui l’addebito oggetto di contestazione debba necessariamente corrispondere a quello posto a fondamento della sanzione disciplinare, sicché è vietato infliggere un licenziamento sulla base di fatti diversi da quelli contestati; ma che esso non possa ritenersi violato qualora, contestati atti idonei ad integrare un’astratta previsione legale, il datore di lavoro alleghi, nel corso del procedimento disciplinare, circostanze confermative o ulteriori prove, in relazione alle quali il lavoratore possa agevolmente contro dedurre (Cass. 10 marzo 2010, n. 6091; Cass. 17 luglio 2018, n. 19023; Cass. 25 marzo 2019, n. 8293).
E che, pertanto, “i fatti su cui si fonda il provvedimento sanzionatorio devono coincidere con quelli oggetto dell’avvenuta contestazione”, posto che “ai fini del rispetto delle garanzie previste dall’articolo 7 della legge n. 300 del 1970, il contraddittorio sul contenuto dell’addebito mosso al lavoratore può ritenersi violato (con conseguente illegittimità della sanzione, irrogata per causa diversa da quella enunciata nella contestazione) solo quando vi sia stata una sostanziale immutazione del fatto addebitato, inteso con riferimento alle modalità dell’episodio e al complesso degli elementi di fatto connessi all’azione del dipendente, ossia quando il quadro di riferimento sia talmente diverso da quello posto a fondamento della sanzione da menomare concretamente il diritto di difesa (cfr., tra le altre, Cass. n. 2935 del 2013)”; sicché, “sussiste una modifica della contestazione disciplinare solamente ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle già contestate, non quando il datore di lavoro proceda ad un diverso apprezzamento e qualificazione dello stesso fatto” (Cass. 15 giugno 2020, n. 11540, in motivaz., sub p.to 7).
Infine, è opportuno altresì sottolineare che l’apprezzamento dei requisiti della contestazione disciplinare, nella prospettiva finalistica di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa, è riservato al giudice di merito, la cui valutazione – da condurre secondo i canoni ermeneutici applicabili agli atti unilaterali – è sindacabile in cassazione solo mediante una specifica censura, non limitata a prospettare una lettura alternativa a quella della decisione impugnata (Cass. 20 maggio 2018, n. 13667; Cass. 14 dicembre 2023, n. 35077; Cass. 6 agosto 2024, n. 22226);
3.1. nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente richiamato il principio di immutabilità della contestazione (all’ultimo capoverso di pg. 15 della sentenza) e lo ha applicato nell’interpretazione della lettera di licenziamento integralmente trascritta (dal penultimo capoverso di pg. 6 all’ultimo di pg. 14), contenente nella sua interezza la lettera di contestazione, con apprezzamento congruamente argomentato (dal primo al penultimo capoverso di pg. 15 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità e dando, in particolare, ragione dell’ininfluenza della circostanza dei lavori di V.S. s.r.l. sulla careggiata o sulla fascia di rispetto (così al penultimo capoverso di pg. 15 della sentenza);
4. il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 5 legge 604/1966, 18 legge 300/1970, 111 Cost. e 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., per difetto di prova, a carico datoriale, dei fatti oggetto dell’addebito disciplinare, in particolare sulla necessità di autorizzazione dei lavori compiuti dall’impresa V.S. s.r.l. e della riferibilità delle condotte contestate al lavoratore, ritenuti sulla base di elementi tratti dall’indagine penale meramente indiziari e contraddittori, a fondamento dell’adozione di una misura cautelare poi revocata e smentiti dalla sentenza penale di assoluzione per insussistenza del reato di corruzione (con particolare riguardo ai seguenti passaggi: “… si ritiene manchi la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, se effettivamente in quelle circostanze gravasse in capo al sg. L.R. il dovere d’ufficio di disporre tale prescrizione. … si sarebbe dovuto ricostruire dettagliatamente il tipo di lavori in corso e conseguentemente lo specifico atto d’ufficio che avrebbe dovuto compiere l’imputato. … ” e ancora “ … non essendo emersa la prova di alcuno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio da parte del sig. L. … ”) e per incoerente, contraddittoria e illogica motivazione (primo motivo);
violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. da 14 a 18 e 21 d.lgs. 285/1992, del cap. 3.3 dell’all. 1 D.M. 6792/2001 e degli artt. 26 e 45 d.p.r. 495/1992, per inesistenza di alcuna omissione dal lavoratore di elevare una contravvenzione, in assenza di violazione del Codice della Strada, a tutela della sicurezza della viabilità, né di altra normativa, trattandosi nel caso di specie di lavori di manutenzione ordinaria sulla fascia di rispetto, riguardanti un passo carrabile già esistente ed autorizzato, a carico della proprietà privata (secondo motivo);
violazione e falsa applicazione degli artt. 72 ss. CCNL dipendenti ANAS, 1175, 1375 c.c., per inosservanza del principio di proporzionalità, anche alla luce di quello di correttezza e buona fede, nella giustificazione della sanzione espulsiva per la ravvisata gravità, quand’anche ritenuti legittimi i lavori di V.S. s.r.l., delle residue condotte contestate al lavoratore, anch’esse provate dalle intercettazioni telefoniche in sede di indagine penale e riconducibili ad una sua attitudine non imparziale nei confronti dei destinatari dei controlli: dovendo invece la sanzione essere graduata in base all’obiettiva gravità del fatto e dell’intenzionalità del comportamento, avuto riguardo allo stato psichico, noto al datore di lavoro, del lavoratore medesimo (disturbo dell’adattamento a prevalente espressione depressiva in personalità con tratti borderline ed istrionici, con “frequente ricorso all’esagerazione”), pure tenuto conto dell’assenza di suoi precedenti disciplinari (quarto motivo);
5. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
6. è indubbio, in via di premessa, l’onere datoriale di provare, a norma dell’art. 5 legge n. 604/1966, la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo (Cass. 16 agosto 2016, n. 17108; Cass. 29 marzo 2018, n. 7830);
6.1. al di là del giudicato di condanna del lavoratore, per effetto delle sentenze penali della Corte d’appello di Milano n. 7781/22 e della Corte di Cassazione n. 3129/24 indicate nella memoria finale di Anas s.p.a., in ordine ai fatti oggetto dell’odierno giudizio disciplinare, sono noti i principi di diritto in materia, consolidati nella giurisprudenza di questa Corte.
In ordine alla sussistenza di una giusta causa di licenziamento, in particolare, il giudice del lavoro può valutare, ai fini della formazione del proprio convincimento, gli atti delle indagini preliminari e le intercettazioni telefoniche ivi assunte, anche ove sia mancato il vaglio critico del dibattimento, in quanto la parte può sempre contestare nel giudizio civile i fatti acquisiti in un procedimento penale (Cass. 2 marzo 2017, n. 5317); inoltre, in tema di licenziamento per motivi disciplinari, le intercettazioni telefoniche o ambientali effettuate in un procedimento penale sono pienamente utilizzabili nel procedimento regolato dall’art. 7 legge n. 300/1970, purché legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti previsti dall’art. 270 c.p.p., riferibili al solo procedimento penale, né il fatto che i verbali di tali intercettazioni siano stati realizzati nella forma del cd. “brogliaccio”, senza trascrizione delle stesse, la cui assenza non le priva di ogni efficacia probatoria, giacché la prova è costituita dalle bobine e dai verbali, mentre la trascrizione si esaurisce in una serie di operazioni di carattere meramente materiale, non implicando l’acquisizione di alcun contributo tecnico-scientifico (Cass. 3 gennaio 2024, n. 109).
D’altro canto, l’art. 654 c.p.p., nell’attribuire alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o assoluzione, efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, condiziona tale efficacia all’avvenuta pronuncia della sentenza a seguito di dibattimento; con la conseguenza che la sentenza pronunciata con le forme del rito abbreviato non è idonea ad esplicare i suoi effetti nei giudizi civili o amministrativi, salvo in quelli per le restituzioni o il risarcimento dei danni, dovendosi ritenere, in tali ipotesi, che la corrispondenza dell’oggetto della controversia civile nella sede penale e in quella civile o amministrativa abbia indotto il legislatore a prevedere, con le disposizioni di cui agli artt. 651, secondo comma e 652, secondo comma c.p.p., una differente regolamentazione (Cass. 16 maggio 2007, n. 11295; Cass. S.U. 19 gennaio 2010, n. 674);
7. nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto provati sia l’addebito principale – di omissione del lavoratore, in occasione di un sopralluogo come capo cantoniere sulla SS 341 in data 13 aprile 2019, delle prescritte contestazioni a fronte dei lavori intrapresi da V.S. s.r.l., pure essendosi avveduto del loro carattere illecito (a) – sia le residue condotte (b), sulla base delle risultanze delle intercettazioni ambientali e telefoniche (“non contestate”: così all’ultimo capoverso di pg. 16 della sentenza) disposte in sede di indagine penale.
Da esse (oltre che da fotografie scattate in loco prima e dopo l’esecuzione dei lavori e dalle affermazioni intercettate del lavoratore e dei titolari dell’impresa V.S. s.r.l.) ha legittimamente tratto, in applicazione dei suenunciati principi di diritto, elementi di convincimento, congruamente argomentati, in riferimento tanto all’addebito sub (a) (dal secondo al penultimo capoverso di pg. 16 della sentenza), tanto all’addebito sub (b) (agli ultimi tre capoversi di pg. 18 della sentenza).
E poco importa che i suddetti mezzi di indagine penale siano stati disposti in funzione dell’adozione di una misura cautelare poi revocata, con la successiva pronuncia di una sentenza penale di assoluzione per insussistenza del reato di corruzione (peraltro superata dal giudicato di condanna penale sopra menzionato).
Ciò che infatti conta, ai fini (diversi da quelli del giudizio penale) dell’odierno giudizio civile, è la prova dei fatti, acquisita in esito alla legittima utilizzazione delle intercettazioni ambientali e telefoniche, integranti una pluralità di condotte, valutate “avuto riguardo alla natura delle mansioni affidate … e al grado di responsabilità ad esse sottese … di gravità tale da giustificare l’interruzione immediata del rapporto di lavoro di lavoro e l’irrigazione della sanzione espulsiva” (così al primo capoverso di pg. 19 della sentenza).
Una tale valutazione di proporzionalità è devoluta, come ancora recentemente ribadito, al giudice di merito, in quanto implicante un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia (Cass. 3 gennaio 2024, n. 107): il che non si verifica nel caso in esame;
8. il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (in conformità alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Nota a Cass. (ord.) 16 ottobre 2024, n. 26836