La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (c.d. NASpI), istituita dall’art. 1, D. LGS. 4 marzo 2015, n. 22 (concernente “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”) per fornire una tutela di sostegno al reddito ai prestatori con rapporto di lavoro subordinato che siano rimasti involontariamente disoccupati, spetta anche al lavoratore che, dopo aver ripetutamente diffidato la società datrice a provvedere al riconoscimento del corretto inquadramento professionale, abbia rassegnato le proprie dimissioni per giusta causa, a nulla rilevando la successiva sottoscrizione di un verbale di conciliazione tra le parti.
Lo ha stabilito il Tribunale di Milano (24 giugno 2024, R.G.N. 5584/2023), in relazione ad una fattispecie concernente un lavoratore, inquadrato come impiegato di primo livello nonostante lo svolgimento di mansioni superiori riconducibili al livello di quadro (CCNL Chimici), che, dopo aver ripetutamente diffidato la società datrice, aveva rassegnato le proprie dimissioni in seguito al mancato riconoscimento del corretto inquadramento contrattuale, rivendicando conseguentemente il diritto a percepire il trattamento di disoccupazione.
All’esito del procedimento amministrativo, l’ente previdenziale aveva rigettato la domanda di prestazione ritenendo che “la causa della cessazione dell’attività lavorativa non fosse valida per il trattamento oggetto di istanza” in quanto non tutte le ipotesi di dimissioni rette da giusta causa danno diritto alla corresponsione dell’indennità di NASpI ma solo quelle “espressamente” richiamate nella Circ. Inps n. 163/2003, vale a dire le dimissioni determinate:
- dal mancato pagamento della retribuzione;
- dall’aver subìto molestie sessuali;
- dalle modifiche peggiorative delle mansioni lavorative;
- dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessazione dell’azienda;
- dal trasferimento del lavoratore senza le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive;
- dal comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente (v. anche Circ. INPS n. 94/2015).
Come noto, l’indennità di NASpI è riconosciuta, ai sensi dell’art. 3, co, D.LGS. n. 22, cit., “ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione” e che presentino congiuntamente i seguenti requisiti:
a) lo stato di disoccupazione ex 1, co. 2, lett. c), D.LGS. 21 aprile 2000, n. 181 e succ. mm. ii. (recante “Disposizioni per agevolare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro”);
b) la possibilità di far valere almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di mancanza d’impiego;
c) l’aver svolto – per i soli eventi di disoccupazione verificatisi prima del 1 gennaio 2022 – almeno 30 giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei 12 mesi che precedono l’inizio del periodo di inattività.
La NASpI è, altresì, erogata, oltre che nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta in esito alla procedura di conciliazione di cui all’art. 7, L. 15 luglio 1966, n. 604 (come mod. dall’art. 1, L. 28 giugno 2012, n. 92, c.d. Riforma Fornero), “ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa” (art. 3, co. 2, D. LGS. cit.).
Ad avviso del giudice, i casi di dimissioni per “giusta causa”, che danno luogo ad uno stato di disoccupazione involontaria, “non costituiscono una categoria tassativa bensì flessibile ed aperta a fattispecie atipiche”, tra le quali “non può non ritenersi compresa” l’ipotesi del lavoratore che abbia risolto il rapporto di lavoro in conseguenza del mancato riconoscimento del livello contrattuale corrispondente alle mansioni effettivamente prestate.
La condotta datoriale di sotto-inquadramento e sotto-retribuzione, infatti, integra un “grave inadempimento” contrattuale, tale da non consentire la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto di lavoro, sicché la decisione del prestatore di rassegnare le proprie dimissioni deve ritenersi una scelta non volontaria, ascrivibile al comportamento di un altro soggetto ed a cui consegue il diritto all’indennità di NASpI.
L’eventuale sottoscrizione di un accordo conciliativo tra il dipendente e il datore di lavoro, successiva alla risoluzione del rapporto, non vale ad escludere la giusta causa delle dimissioni né rappresenta una rinuncia ad essa da parte del lavoratore, ma, al contrario, prova l’intenzione di quest’ultimo di agire, già in sede stragiudiziale, proprio per far valere la giusta causa delle sue dimissioni.
Nel caso di specie, il giudice – dopo aver verificato che il lavoratore, inquadrato come “Manager” del dipartimento di “Commercial insight”, svolgeva di fatto mansioni corrispondenti al superiore livello di “Senior manager” (quali, pianificazione della organizzazione del settore affidatogli, ricerca di mercato, individuazione degli obiettivi e delle attività finalizzate al raggiungimento degli stessi, il tutto con esclusiva responsabilità del settore e in piena autonomia decisionale) – ha ritenuto la condotta datoriale di sotto-inquadramento e sotto-retribuzione idonea ad integrare giusta causa di dimissioni dal posto di lavoro, con conseguente diritto del prestatore a percepire l’indennità di disoccupazione.
Nota a Trib. Milano 24 giugno 2024, R.G.N. 5584/2023