Retrocessione del ramo d’azienda e consultazione sindacale ex art. 47 L. n. 428/1990

La concessione, da parte di una società a un’altra, del godimento di uno spazio all’interno di un centro commerciale costituisce operazione qualificabile quale “contratto d’affitto di ramo d’azienda” (soggetta alla disciplina giuslavoristica di tutela dell’art. 2112 c.c.) e non, invece, quale “locazione commerciale” (disciplinata dalla L. 27.7.1978, n. 392), quando – sulla base della effettiva e comune intenzione delle parti, in relazione alla consistenza del bene e a ogni altra circostanza del caso concreto – risulti accertato che l’oggetto del contratto costituisce un’entità organica e capace di vita economica propria, della quale l’unità immobiliare configura una mera componente, in rapporto di complementarità e interdipendenza con gli altri elementi aziendali. Inoltre, le tutele ex art. 2112 c.c. si applicano anche nell’ipotesi di “retrocessione del ramo d’azienda” verificatasi alla scadenza del contratto d’affitto stipulato tra società “concedente” e società “affittuaria”­­­­­­­­­­­­, con la conseguenza che costituisce “condotta antisindacale” (ex art. 28 L. 20.5.1970, n. 300) il mancato invio, da parte delle società interessate, alle organizzazioni sindacali della comunicazione di cui all’art. 47, co. 1, della L. 29.12.1990, n. 428.

Lo ha stabilito il Tribunale di Novara, Sez. lavoro, con il decreto 14.9.2025 (R.G. n. 618/2025), in parziale accoglimento del ricorso promosso dal sindacato FILCAMS CGIL di Novara e del Verbanio Cusio Ossola (di seguito “FILCAMS”) nei confronti delle società Neptune Vicolungo I S.r.l. (di seguito “N.V. S.r.l.”) e Bergamaschi & Vimercati S.p.A. (di seguito “B.V. S.p.A.”).

Nel caso di specie, N.V. S.r.l. (concedente), proprietaria del centro commerciale Vicolungo The Style Outlets (V.S.O.), aveva concesso, con contratto d’affitto di durata settennale, a B.V. S.p.A. (affittuaria), un ramo d’azienda consistente in un “punto vendita” all’interno del centro commerciale, unitamente alla relativa licenza commerciale. B.V. S.p.A. aveva esercitato nel locale l’attività di vendita dei propri prodotti (casalinghi e utensili da cucina), con un numero di dipendenti, variabile tra 4 e 5. All’approssimarsi della scadenza contrattuale (e, dunque, del perfezionamento della “retrocessione del ramo d’azienda” da B.V. S.p.A. a N.V. S.r.l.), l’affittuaria aveva avviato le operazioni di cessazione dell’unità del punto vendita, procedendo anche al licenziamento di 3 lavoratrici dipendenti addette all’unità, poi riconsegnata al concedente nello stato originario (libera da persone e cose).

Il sindacato FILCAMS aveva, adito il giudice per omessa attivazione (nell’ambito della retrocessione del ramo d’azienda) della procedura di consultazione ex art. 47, co. 1, L. n. 428/1990, invocando l’art. 28 dello Statuto dei lavoratori che, come noto, sanziona i “comportamenti dal datore di lavoro diretti a impedire o limitare la libertà e l’attività sindacale o il diritto di sciopero”.

Le società convenute avevano negato che l’operazione fosse qualificabile come “vicenda circolatoria dell’azienda” ex art. 2112 c.c., in quanto – nonostante la formale qualificazione data dalle parti al contratto stipulato (con il nomen iuriscontratto d’affitto d’azienda”) – si trattava, in realtà, di una mera “locazione di locali commerciali”, realizzandosi, a loro modo di vedere, soltanto “la cessione in godimento di uno spazio, in cui l’avente causa aveva organizzato la propria attività economica, in assenza di una preesistente organizzazione d’impresa”. Inoltre, le società avevano dedotta l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c., stante la “definitiva cessazione dell’attività del punto vendita” e l’assenza, al momento della restituzione dello stesso, di “beni strumentali, scorte di magazzino e dipendenti”; inoltre detto punto di vendita “era, poi, stato accorpato ad altro e riaffittato per lo svolgimento di attività del tutto diverse, con personale specializzato in queste ultime”. Dunque, l’attività era da considerarsi “cessata” e al suo posto ne era “iniziata un’altra, del tutto differente”.

Il Tribunale novarese, con il decreto in commento, ha parzialmente accolto il ricorso del sindacato, rigettando la tesi delle società, osservando, tra l’altro, quanto segue:

  • il centro commerciale riveste natura di “azienda”, organizzata in tanti rami quanti sono i singoli esercizi ivi presenti; l’azienda-centro commerciale si caratterizza “proprio per la compresenza di una molteplicità di negozi che vendono merci diverse (dagli articoli per la casa, all’abbigliamento sportivo e non, al cibo e tanti altri)”;
  • la cessione di ramo d’azienda è configurabile “ove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi”;
  • anche la Direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE qualifica per “trasferimento”, quello “di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria”;
  • ai fini del trasferimento di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c., rappresenta elemento costitutivo della cessione “l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione”;
  • come rilevato dalla giurisprudenza di legittimità, la concessione del godimento di un locale adibito ad esercizio commerciale “può integrare affitto di azienda, ovvero locazione di immobile munito di pertinenze, a seconda che, sulla scorta della effettiva e comune intenzione delle parti, in relazione alla consistenza del bene ed a ogni altra circostanza del caso concreto, risulti che l’oggetto del contratto sia un’entità organica e capace di vita economica propria, della quale l’immobile configura una mera componente, in rapporto di complementarità ed interdipendenza con gli altri elementi aziendali, ovvero sia in via principale l’immobile medesimo, ancorchè dotato di accessori, come entità non produttiva”;
  • nella fattispecie, non vi è dubbio che l’operazione sia configurabile come “affitto di ramo azienda”, avendo la società N.V. S.r.l., proprietaria del centro commerciale, creato e organizzato “autonomi rami d’azienda” ciascuno adibito a punto vendita e/o somministrazione, costituenti separate entità organiche corredate dalle infrastrutture e dai servizi (di manutenzione, vigilanza, etc.) occorrenti per la dinamica, il funzionamento e l’esercizio del centro commerciale; né il cambio di settore merceologico, intervenuto successivamente alla retrocessione del ramo, “appare elemento determinante, per escludere la sussistenza di una cessione di ramo d’azienda”;
  • pertanto, in caso di retrocessione di ramo d’azienda, trova applicazione l’art. 47, co. 1, L. n. 428/1990, il quale prevede che in caso di trasferimento d’azienda (o di ramo d’azienda) in cui sono complessivamente occupati più di 15 lavoratori, il cedente e il cessionario devono darne comunicazione per iscritto almeno 25 giorni “prima che sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento” (o che sia raggiunta “un’intesa vincolante tra le parti, se precedente”) alle rispettive R.S.U. ovvero alle R.S.A.;
  • nel caso di specie, detto obbligo di comunicazione non è stato adempiuto dalle società interessate, con conseguente lesione delle prerogative del sindacato ex art. 28 Stat. Lav.

Alla luce di quanto sopra esposto, il Tribunale ha tra l’altro: a) dichiarato l’antisindacalità della condotta, consistita nel mancato invio a FILCAMS della comunicazione ex art. 47, co. 1, L. n. 428/1990, in occasione della retrocessione di ramo d’azienda da B.V. S.p.A. a N.V. S.r.l.; b) ordinato a B.V. S.p.A. e N.V. S.r.l. di trasmettere a FILCAMS tale comunicazione entro 5 giorni lavorativi dalla comunicazione del provvedimento, nonché per conoscenza anche agli altri sindacati aventi i requisiti di rappresentatività di cui al citato art. 47, co. 1, L. n. 428/1990; c) ordinato a B.V. S.p.A. e N.V. S.r.l. di pubblicare il testo del provvedimento sui rispettivi siti internet e di affiggere una copia cartacea dello stesso, per il periodo minimo di 90 giorni dalla prima affissione, presso ciascuna delle bacheche destinate alle comunicazioni al personale e agli annunci di lavoro, nonché presso la sede dell’Agenzia Piemonte lavoro, presenti presso il centro commerciale V.S.O.

Sentenza

Tribunale Novara 14 settembre 2025 (R.G. n. 618/2025)

DECRETO EX ART. 28, L. N. 300/1970

IL GIUDICE DEL LAVORO

Nel procedimento ex art. 28, l. n. 300/1970, iscritto al n. r.g. sopra riportato, promosso da FILCAMS CGIL DI NOVARA E DEL VERBANO CUSIO OSSOLA (c.f. 94072520037) …

ricorrente

contro

NEPTUNE VICOLUNGO I S.R.L. (c.f. 05529860966) …

BERGAMASCHI & VIMERCATI S.P.A. (c.f. 01842440156) …

convenute

a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 9.9.2025

OSSERVA

1.Con ricorso depositato il 26.6.2025, FILCAMS CGIL DI NOVARA E DEL VERBANO CUSIO OSSOLA (di seguito Filcams) adiva l’intestato Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, per sentire accogliere le seguenti conclusioni:

a) accertare e dichiarare l’antisindacalità del comportamento di Neptune Vicolungo I srl e Bergamaschi & Vimercati spa consistiti nella pattuizione delle clausole di cui al punto 11 del ricorso;

b) premessa se ritenuto la declaratoria di nullità e comunque illegittimità delle clausole di cui al punto 7 allegato b “condizioni generali” al contratto d’affitto di ramo d’azienda, accertare e dichiarare l’antisindacalità del mancato invio alla ricorrente della comunicazione di cui al comma 1 dell’articolo 47 Legge 428/1990 e per l’effetto ordinare a Neptune Vicolungo I srl e Bergamaschi & Vimercati spa l’immediato invio di quanto previsto nella detta norma di legge;

c) ordinare alle due convenute di curare la pubblicazione del decreto sui rispettivi siti internet per il periodo ritenuto congruo dal Giudice e ordinarne altresì la pubblicazione su un quotidiano a diffusione nazionale e uno a diffusione locale;

d) emettere ogni ulteriore statuizione ritenuta opportuna per la rimozione degli effetti della denunciata condotta antisindacale;

e) con decreto immediatamente esecutivo e con condanna delle convenute al pagamento delle spese e compensi professionali”.

Riferiva che la convenuta NEPTUNE VICOLUNGO I S.R.L. (di seguito Neptune), proprietaria del centro commerciale “Vicolungo The Style Outlets”, aveva concesso in affitto, dal 23.6.2018 al 22.6.2025, a Bergamaschi & Vimercati s.p.a., un ramo d’azienda consistente in un punto vendita di 264,28 mq all’interno del centro commerciale (doc. 1 ric.). La seconda aveva ivi esercitato attività di vendita dei propri prodotti (casalinghi e utensili da cucina a marchi Excelsa e Viceversa), con un numero di dipendenti, variabile tra quattro e cinque.

Nel contratto in parola, le parti avevano precisato che il ramo d’azienda era momentaneamente inattivo e privo di dipendenti, ma all’interno vi erano beni, attrezzature e diritti sufficienti a configurare un ramo d’azienda, avente la qualità essenziale consistente nella collocazione nel Centro commerciale, circostanza che garantiva un abituale afflusso di clientela.

Le condizioni generali (all. b al contratto) prevedevano che “7.2.1 L’Affittuario, alla cessazione ovvero al venire meno per qualsivoglia motivo dell’efficacia del Contratto, si impegna a restituire il Ramo di Azienda senza dipendenti, collaboratori od ausiliari ed a far sì che non vi saranno dipendenti, collaboratori od ausiliari che avranno il diritto di rivendicare la prosecuzione del rapporto di lavoro con il Concedente ai sensi dell’articolo 2112 del Codice Civile. 7.2.2 A tal fine l’Affittuario si impegna ad interrompere ogni rapporto di lavoro in essere con tutti i propri dipendenti adibiti all’esercizio del Ramo d’Azienda o a trasferirli presso altre proprie unità produttive. L’Affittuario si impegna inoltre a sottoscrivere i corrispondenti verbali di conciliazione inimpugnabili ai sensi dell’art. 2113 del Codice Civile in caso di risoluzione del rapporto di lavoro che contempli espressamente la rinuncia del lavoratore del diritto di passare alle dipendenze del Concedente ovvero alle dipendenze del successivo affittuario del medesimo Ramo d’Azienda, mentre, qualora proceda a trasferire i dipendenti, l’ Affittuario si impegna a consegnare in copia la lettera di trasferimento, sottoscritta per accettazione dal dipendente”. Simili condizioni erano contenute in tutti i contratti stipulati con gli affittuari di Neptune (docc. 2, 3 e 4 ric.).

Precisava che delle cinque dipendenti del negozio di Bergamaschi & Vimercati, le tre a tempo indeterminato, il 28.4.2025, erano state licenziate per giustificato motivo oggettivo, consistente nella cessazione dell’unità locale a cui esse erano addette, giustificata da ragioni economiche. La data di efficacia del recesso era stata indicata nel 20.6.2025 (docc. 6, 7 e 8 ric.). Deduceva che tale condotta si era, quindi, posta in attuazione del programma contrattuale, il quale, a suo avviso, costituiva elusione del disposto dell’art. 2112 c.c.

Filcams, dal canto suo, lamentava la violazione dei diritti di informazione e trattativa di cui all’art. 47, l. n. 428/1990. Deduceva che, avendo appreso del licenziamento delle lavoratrici, aveva inviato alle convenute richiesta formale di adempiere al disposto di legge, senza ricevere risposta (doc. 9 ric.). Precisava che davanti a questo Tribunale pendeva altro procedimento, avente a oggetto questioni analoghe.

Richiamato il disposto dell’art. 2112 c.c. e dell’art. 47 cit., argomentava circa la sussistenza di una retrocessione di ramo d’azienda e quindi, dell’applicabilità della normativa in parola. Lamentava, quindi, che le parti avevano preventivamente escluso l’attuazione dei diritti conferiti al sindacato e inerenti alla possibilità di controllare ex ante le modalità di trasferimento dei rapporti di lavoro e di fornire ai lavoratori coinvolti supporto, per salvaguardare l’occupazione.

Precisava che una delle tre dipendenti licenziate, che si trovava in astensione anticipata per maternità a rischio al momento del recesso, lo aveva impugnato e la relativa causa era pendente avanti il Tribunale di Milano (r.g. n. 7755/2025), mentre le altre avevano sottoscritto verbali di conciliazione in sede sindacale. Riteneva che ciò dimostrasse l’attualità della condotta antisindacale denunciata.

Domandava, pertanto, pronunciarsi la nullità della clausola contrattuale sopra riportata, in quanto avente l’effetto di limitare una specifica attività sindacale, dichiararsi l’antisindacalità dell’inadempimento dell’obbligo di comunicazione di cui all’art. 41, primo comma, l. n. 428/1990 e disporsi idonee forme di pubblicità della pronuncia.

  1. Si costituiva NEPTUNE VICOLUNGO I S.R.L. (di seguito Neptune), con memoria difensiva depositata il 24.7.2025, assumendo le seguenti conclusioni: “− in via preliminare, dichiarare inammissibile la domanda avversaria volta a far valere l’illegittimità della clausola 7 delle condizioni generali del contratto sottoscritto tra le resistenti;

in via principale, rigettare integralmente le domande formulate dalla Ricorrente in quanto infondate in fatto e in diritto, per i motivi tutti esposti in narrativa;

− In ogni caso, con condanna della Ricorrente alle spese di lite”.

Confermava di essere la proprietaria del centro commerciale “Vicolungo The Style Outlets” e che la propria attività principale era quella di locare i singoli punti vendita a terzi, mentre non svolgeva alcuna attività commerciale diretta (doc. 1 Neptune). Essi venivano trasferiti all’affittuario unitamente alla licenza commerciale, come previsto dai singoli contratti. Al fine di consentire la voltura della licenza, questi ultimi erano stati qualificati come “affitto di ramo d’azienda”.

Precisava non esservi alcuna continuità tra l’attività di un affittuario e quella del successivo e pertanto, ciascuno di essi era tenuto a restituire l’unità a Neptune libera da persone e cose, affinché la società potesse ricercare sul mercato un nuovo potenziale affittuario, interessato ad avviarvi la propria attività commerciale e a cui lo spazio veniva consegnato vuoto, senza arredi, né pertinenze.

Secondo tale schema, ricorrente nel settore, aveva avuto luogo il rapporto con Bergamaschi &Vimercati, che aveva ottenuto in affitto per sette anni uno spazio di circa 260 metri quadri, la gran parte dei quali adibiti a superficie di vendita e il resto a servizi igienici e magazzino. Bergamaschi & Vimercati aveva ricevuto lo spazio vuoto e privo di personale e si era impegnata a restituirlo tale alla scadenza, ricollocando i lavoratori o risolvendo i relativi rapporti (doc. 3 Neptune). Il contratto precisava che nell’esercizio avrebbe potuto esercitarsi solo vendita di prodotti non alimentari.

Alla scadenza, l’unità era stata restituita, con voltura della licenza ed essa era stata affittata alla società Cigierre – Compagnia Generale Ristorazione s.p.a., previo accorpamento con quella contigua, per lo svolgimento di attività di somministrazione di alimenti e bevande (doc. 4 Neptune).

Allegava che, all’interno dell’outlet, fossero presenti operatori dell’Agenzia Piemonte Lavoro, con cui Neptune aveva sottoscritto apposita convenzione, per aiutare i dipendenti nella collocazione, nelle fasi di apertura e chiusura dei negozi.

Sosteneva che la circostanza per cui le tre lavoratrici di cui al ricorso fossero state licenziate con un lungo preavviso (50 giorni) e che due di esse avessero sottoscritto conciliazioni in sede sindacale fossero idonee ad escludere l’antisindacalità della condotta.

Deduceva che la fattispecie non fosse idonea a configurare un trasferimento d’azienda in senso lavoristico e che, comunque, nessun sindacato avrebbe avuto interesse alla consultazione, in assenza di dipendenti da tutelare. Lamentava che Filcams avesse intrapreso una lotta ideologica avverso un modello di business, intraprendendo varie azioni giudiziarie, davanti a questo Tribunale.

Argomentava nel senso dell’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c., stante la definitiva cessazione dell’attività del punto vendita e dell’assenza, al momento della restituzione dello stesso, di beni strumentali, scorte di magazzino e dipendenti. Esso era, poi, stato accorpato ad altro e riaffittato per lo svolgimento di attività del tutto diverse, con personale specializzato in queste ultime.

Riteneva che, in ogni caso, non sussistesse un trasferimento rilevante ai sensi dell’art. 2112 c.c. e che il nomen iuris era stato scelto poiché l’unico idoneo a consentire il trasferimento della licenza commerciale. Deduceva che ove si fosse ritenuta l’applicabilità dell’art. 2112 c.c., i dipendenti sarebbero stati costretti a subire il passaggio alle dipendenze di Neptune e quindi dimettersi, perdendo il diritto alla NASpI.

Eccepiva, quindi, il difetto di perdurante lesività della condotta denunciata, non essendovi più dipendenti da tutelare, tranne quella che aveva impugnato il licenziamento, sicché non vi sarebbe più stato alcun interesse collettivo da tutelare. Citava, in proposito, il disposto delle direttive 77/187/CEE e 2001/23/CE, rilevando che in assenza di un passaggio di dipendenti da un’impresa a un’altra, non si sarebbe posta la necessità di consultazione sindacale.

Eccepiva, inoltre, l’inammissibilità della domanda volta a far valere la nullità della clausola di cui alle condizioni generali, per difetto di interesse ad agire, poiché essa non era di per sé idonea a escludere l’obbligo di consultazione sindacale. Evidenziava, in ogni caso, che l’eventuale pronuncia di antisindacalità non avrebbe potuto incidere sulla validità del negozio traslativo.

Si opponeva alla pubblicazione della pronuncia.

  1. Si costituiva BERGAMASCHI & VIMERCATI S.P.A., con memoria difensiva depositata il 24.7.2025, assumendo le seguenti conclusioni: “– rigettare il ricorso avversario perché infondato in fatto ed in diritto per le ragioni esposte nel presente atto;

– il tutto con vittoria di spese, oltre accessori di legge, spese forfettarie nella misura prevista dal DM n. 147/2022”.

Deduceva di essere una società dedita al commercio all’ingrosso di materiali per la casa a marchio Excelsa e Viceversa, che svolgeva, tra l’altro, con una rete di negozi, prevalentemente ubicati all’interno di centri commerciali. Per aprire il punto vendita a Vicolungo, si era rivolta a Neptune, proprietaria degli immobili e aveva sottoscritto condizioni contrattuali standardizzate, con un margine di negoziazione molto limitato.

L’8.5.2018, aveva sottoscritto davanti al notaio dott.ssa Guadagno il contratto di affitto, che produceva sub doc. 3, grazie a cui aveva ottenuto in godimento unicamente i locali e la relativa licenza commerciale, assumendo l’obbligo di restituirli dopo sette anni, liberi da persone e cose, legate all’attività economica. Aveva, quindi, avviato la propria attività commerciale.

All’approssimarsi della scadenza contrattuale, aveva avviato le operazioni di cessazione dell’unità locale, compresa la risoluzione dei rapporti di lavoro delle tre dipendenti addette all’unità, che era stata riconsegnata nello stato originario.

Due delle tre dipendenti avevano conciliato in sede sindacale la vertenza relativa al licenziamento, mentre la terza aveva dapprima ottenuto il differimento del licenziamento fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro per maternità e poi impugnato giudizialmente il recesso, con ricorso depositato il 27.6.2025 avanti il Tribunale di Milano.

Eccepiva l’inammissibilità dell’azione per difetto di interesse ad agire del sindacato, ritenendo che essa fosse strumentale a ottenere la declaratoria di nullità di una clausola di un contratto intercorso tra terzi soggetti. Evidenziava che la vicenda aveva, ormai, esaurito i propri effetti fattuali e giuridici, sicché l’eventuale consultazione sindacale si sarebbe tradotta in un adempimento meramente formale, privo di effetti concreti. Negava che la pendenza dell’azione individuale fosse idonea a ridare attualità a un diritto collettivo ormai estinto.

Deduceva che il modello contrattuale in questione era ampiamente diffuso e ben noto alle organizzazioni sindacali.

Negava, inoltre, che vi fosse una vicenda circolatoria dell’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., a prescindere dal nomen iuris prescelto dalle parti, poiché si era realizzata soltanto la cessione in godimento di uno spazio, in cui l’avente causa aveva organizzato la propria attività economica, in assenza di una preesistente organizzazione d’impresa.

  1. Il ricorso è fondato e va accolto nei limiti che seguono.

Dalla suesposta sintesi degli atti delle parti si evince che i fatti di causa sono sostanzialmente pacifici, mentre le parti controvertono su questioni giuridiche, attinenti, in particolare, alla qualificazione della vicenda come trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., all’antisindacalità della condotta e all’ammissibilità della domanda volta a ottenere la declaratoria di nullità della clausola sopra riportata.

La principale di esse e la più dibattuta, anche in sede di discussione orale, è senz’altro quella relativa all’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 2112 c.c. Le società convenute l’hanno decisamente contestata, deducendo di aver formalizzato il contratto sotto forma di affitto di azienda, al fine di consentire la voltura della licenza commerciale, ma che, in realtà, non si tratta di una vicenda circolatoria di un ramo d’azienda, in quanto l’attività è cessata e al suo posto ne è iniziata un’altra, del tutto differente.

Pur non avendo le convenute espressamente evocato tale istituto, la prospettazione parrebbe suggerire l’avvenuta simulazione un contratto di cessione di ramo d’azienda, per consentirne l’opponibilità all’amministrazione deputata al rilascio della licenza commerciale, mentre, in realtà, nei loro rapporti interni, le convenute avrebbero inteso concludere un contratto di locazione di uno spazio commerciale vuoto. Se si dovesse aderire a tale interpretazione delle difese, dovrebbe, comunque, escludersi che un simile patto simulatorio possa essere opposto ai terzi, qual è il sindacato (art. 1415 c.c.).

L’esame della concreta vicenda sostanziale intervenuta supera, tuttavia, tale questione: non può fondatamente negarsi la sussistenza di un trasferimento di ramo d’azienda.

Giova, sul punto, richiamare la sentenza della Corte d’appello di Firenze, sez. lav., 4.6.2021, n. 265, resa in una fattispecie pressoché analoga alla presente, in cui si controverteva della qualificazione della cessione di uno spazio interno a un centro commerciale, in termini di affitto di ramo d’azienda o di locazione. La Corte d’appello ha così motivato sul punto: “Secondo la parte appellante, come detto, i negozi giuridici intercorsi tra Eurocommercial (proprietaria del centro commerciali ‘I Gigli’) e J Retail, prima, e Inticom, poi devono essere qualificati come cessione di ramo d’azienda, come tali soggetti alla disciplina dell’art. 2112 c.c..

Secondo le parti oggi appellate, invece, nel caso in esame non opera la previsione dell’art. 2112 c.c. in quanto – nonostante la formale qualificazione che le parti stesse hanno dato dei contratti stipulati – saremmo in presenza di una mera locazione di locali commerciali e non di una cessione di ramo d’azienda.

Giova qui ricordare che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2112 c.c., il trasferimento di ramo d’azienda si verifica allorquando venga ceduto un complesso di beni oggettivamente dotato di una propria autonomia organizzativa ed economica, funzionale allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi.

È stato chiarito dalla giurisprudenza che è elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente (Cass. 28593 del 2018).

È stato altresì precisato, e la questione riguarda direttamente il caso in esame, che la disciplina dell’art. 2112 c.c. si applica anche nell’ipotesi di cessazione del contratto di affitto d’azienda e conseguente retrocessione della stessa all’originario cedente, purché quest’ultimo prosegua l’attività già esercitata in precedenza, mediante l’immutata organizzazione aziendale (Cass. 23765 del 2018).

Per quanto riguarda la controversa qualificazione dei contratti in esame, la S.C. ha precisato che la concessione del godimento di un locale adibito ad esercizio commerciale può integrare affitto di azienda, ovvero locazione di immobile munito di pertinenze, a seconda che, sulla scorta della effettiva e comune intenzione delle parti, in relazione alla consistenza del bene ed a ogni altra circostanza del caso concreto, risulti che l’oggetto del contratto sia un’entità organica e capace di vita economica propria, della quale l’immobile configura una mera componente, in rapporto di complementarità ed interdipendenza con gli altri elementi aziendali, ovvero sia in via principale l’immobile medesimo, ancorché dotato di accessori, come entità non produttiva (Cass. 15210 del 2005).

Orbene, sembra alla Corte che, nel caso in esame, debba essere confermata la sussistenza di una cessione di ramo d’azienda tra EUROCOMMERCIAL e J RETAIL, in presenza di atto notarile che così la qualifica (doc.4) e tra EUROCOMMERCIAL ed INTICOM; anche con INTICOM c’è un contratto che qualifica il negozio come cessione di ramo d’azienda (doc.9). La forma giuridica del rapporto che le parti hanno inteso adottare, oltre tutto in sede notarile, non può infatti essere considerato elemento privo di rilievo decisivo.

Al punto 24) del contratto (doc.9) le parti precisano in modo più che chiaro:

24) Qualificazione giuridica del contratto e negozio di accertamento

Le parti, prendendo atto della sostanziale affinità delle due distinte tipologie contrattuali della locazione commerciale e dell’affitto di ramo d’azienda e della possibilità dell’insorgere di con testazioni in futuro in ordine alla disciplina concretamente applicabile al presente rapporto, di chiarire e riconoscono, dopo aver attentamente vagliato le differenti conseguenze:- che quello oggi qui stipulato è a tutti gli effetti un rapporto di affitto di ramo d’azienda;

– che le stesse hanno voluto far riferimento alla normativa allo stesso applicabile;

Del resto, oltre alla qualificazione formale, l’esame del contratto consente di confermare la suddetta ricostruzione giuridica.

Si legge infatti nel contratto che ‘la CONCEDENTE ha creato ed organizzato autonomi rami d’azienda ciascuno adibito a punto vendita e/o somministrazione, costituenti separate entità organiche corredate dalle infrastrutture e dai servizi (di manutenzione, vigilanza, etc.) occorrenti per la dinamica, il funzionamento e l’esercizio del Centro’.

Oggetto della cessione, oltre al locale commerciale, sono altresì:

‘- l’avviamento;

– l’utilizzo del marchio e dei segni distintivi del Centro Commerciale, nei modi e nei limiti stabiliti dallo Statuto e dal Regolamento del Consorzio I Gigli;

– la fruizione delle parti e dei servizi comuni del Centro stesso, nel rispetto della disciplina dettata dallo Statuto e dal Regolamento sopra menzionati, che l’AFFITTUARIA di chiara di conoscere ed accettare;

– la disponibilità dell’autorizzazione amministrativa ex D.Lgs.n.114/98

– gli impianti specifici come da Capitolato delle Prescrizioni Tecniche ed Architettoni che ben conosciuto dall’AFFITTUARIA’.

Sulla base di questi elementi ritiene la Corte che, nel caso in esame, la concessione del locale ad uso commerciale costituisca una mera componente del più ampio programma negoziale concordato tra le parti; in altre parole, la dotazione di infrastrutture, di servizi come la vigilanza e la manutenzione, la possibilità di avvalersi del marchio e dei segni distintivi del centro commerciale e quindi del suo avviamento emergono come aspetti del tutto fondamentali e caratterizzanti la vicenda in esame con la conseguenza che la concessione delle ‘mura’ si pone in rapporto di complementarità ed interdipendenza con gli altri elementi aziendali indicati.

Del resto, questa Corte d’Appello di Firenze, sezione civile, ha già esaminato, sia pure con riferimento ad altre cessionarie, i rapporti giuridici controversi (sentenza del 19.1.2012, RG 2687/2010, doc.5) ricostruendoli nello stesso senso: ‘il ramo di azienda affittato era costituito da una serie di beni, materiali ed immateriali, costituiti solo in parte dal godimento dell’immobile, ma anche dall’utilizzo dei segni distintivi del Centro Commerciale ‘I Gigli’, dalla disponibilità dell’autorizzazione amministrativa, dall’inserimento nel Centro Commerciale con il conseguente rilevante ‘avviamento’, conseguente all’attrazione della clientela esercitata dal Centro Commerciale in generale e dal polo ipermercato in particolare, dalla presenza di spazi, servizi ed infrastrutture comuni, assicurati dal Consorzio, che costituiscono elementi dinamici assai più consistenti, nell’economia del contratto, rispetto all’elemento di segno contrario (statico), eccessivamente valorizzato dalla convenuta….della mancanza di arredi della yogurteria al momento della conclusione del contratto’. Elementi che costituiscono, pertanto, l’insieme dinamico dell’azienda (effettivamente) affittata e che la convenuta Eurocommercial Properties Italia srl ha continuato ad utilizzare a seguito della retrocessione e che continuano ad essere utilizzati ugualmente dalla nuova cessionaria, Full Firenze, che degli stessi beni, che costituiscono l’azienda affittata, continua ad usufruire e egualmente utilizza.’

Tale essendo la necessaria qualificazione giuridica del rapporto non appare rilevante il fatto INTICOM abbia successivamente fatto lavori e modificato il locale commerciale per adattarlo al proprio marchio, essendo questa una prerogativa del cessionario.

Si deve quindi ritenere che i due contratti in esame costituiscano altrettante cessioni di ramo d’azienda con la conseguente applicazione dell’art. 2112 c.c. anche nel caso di retrocessione, come detto”.

Nel confermare tale capo della sentenza, la Corte di cassazione, sez. lav., 7.2.2025, n. 3133, ha osservato che “la ricorrente non si confronta con la specifica motivazione al riguardo articolata dai giudici d’appello, secondo cui in via di principio la concessione in godimento di un locale adibito ad esercizio commerciale può integrare affitto di azienda, oppure locazione di immobile munito di pertinenze, a seconda che, sulla scorta della comune intenzione delle parti, desunta anche dalla consistenza del bene e da ogni altra circostanza del caso concreto, risulti che l’oggetto del contratto sia un’entità organica e capace di vita economica propria, della quale l’immobile configura mera componente in rapporto di complementarietà e interdipendenza con altri elementi aziendali, oppure sia l’immobile medesimo l’oggetto principale, ancorché dotato di accessori, come entità non produttiva (Cass. n. 15210/2005). La Corte territoriale ha, poi, affermato che nel caso in esame si era al cospetto di un trasferimento di ramo d’azienda, in presenza di un atto notarile che così qualificava il contratto e in considerazione altresì del tenore letterale del contratto (“la CONCEDENTE ha creato ed organizzato autonomi rami d’azienda ciascuno adibito a punto vendita e/o somministrazione costituenti separate entità organiche corredate dalle infrastrutture e dai servizi (di manutenzione, vigilanza etc.) occorrenti per la dinamica, il funzionamento e l’esercizio del Centro”) e dell’oggetto della cessione, individuato oltre che nel locale commerciale, ne “l’avviamento, l’utilizzo del marchio e dei segni distintivi del Centro Commerciale … la fruizione delle parti e dei servizi comuni del Centro … la disponibilità dell’autorizzazione amministrativa … gli impianti specifici come da capitolato delle prescrizioni tecniche ed architettoniche …”. Sicché – hanno concluso i giudici d’appello – la concessione del locale ad uso commerciale costituiva mera componente del più ampio programma negoziale concordato fra le parti, ricomprendente le infrastrutture, i servizi (vigilanza, manutenzione), la possibilità di avvalersi del marchio e dei segni distintivi del centro e del suo avviamento, quali aspetti fondamentali”.

Anche nel caso qui in esame, il contratto (doc. 1 ric.) è stato concluso mediante atto pubblico notarile denominato “affitto di ramo d’azienda”. All’allegato A all’atto pubblico (condizioni speciali), nelle premesse si legge che:

il Centro Commerciale Sequenziale è costituito da diversi esercizi commerciali singolarmente autorizzati” (lett. G) e “ciascun esercizio commerciale è dotato di autorizzazione commerciale” (lett. H);

detto ramo d’azienda, che sarà consegnato sprovvisto di personale, è allo stato inattivo, ma ciò non osta alla sua concessione in affitto, posto che l’Affittuario riconosce che la autorizzazione all’esercizio di attività commerciale, l’inserimento del ramo di azienda all’interno del più complesso Centro Commerciale Sequenziale già attivo ed aperto al pubblico, la peculiare attività di vendita al dettaglio di prodotti effettuata all’interno dello stesso, oltre ai Beni, Attrezzature e Diritti e facenti parte del ramo d’azienda affittato, sono sufficienti a configurare un complesso di beni organizzati a fini produttivi e dichiara di valutare il ramo di azienda nella sua potenziale attitudine produttiva e di ritenere tale attitudine potenziale sufficiente” (lett. K);

in particolare, l’Affittuario riconosce che la collocazione del ramo d’azienda affittato nel Centro Commerciale Sequenziale e la peculiare attività di vendita al dettaglio di prodotti effettuata all’interno dello stesso rappresentano una qualità essenziale del ramo stesso che si riflette in modo determinante sulla capacità di profitto del medesimo, ancorché potenziale, vale a dire sulla capacità di conseguire risultati economici migliori, rispetto ai risultati raggiungibili da un analogo esercizio commerciale con una diversa collocazione” (lett. L);

Inoltre l’Affittuario dà atto che il Centro Commerciale Sequenziale è idoneo ad avere una propria abituale e autonoma clientela idonea a costituire di per sé motivo di attrazione” (lett. M);

la clausola 3 impone uno sconto minimo sui prezzi, all’evidente fine di attrarre clientela al centro commerciale;

la clausola 7 prevede l’obbligo dell’affittuario di organizzare un evento promozionale in occasione dell’apertura e il corrispondente obbligo del concedente di pubblicizzarlo, addebitando i costi all’affittuario.

Nell’allegato C all’atto notarile (condizioni generali) si rinvengono, tra le altre, le seguenti pattuizioni:

l’art. 6.2 impone all’affittuario, alla cessazione del contratto, di adoperarsi perché l’autorizzazione commerciale torni in capo al concedente;

la clausola 7.2 relativa ai dipendenti, sopra riportata, la quale, come si dirà, presuppone l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. alla fattispecie, oltre a un obbligo dell’affittuario di tenere indenne il concedente da qualsiasi pretesa dei propri dipendenti (clausola 7.2.3) e di applicare regolarmente leggi e contratti collettivi in materia di lavoro e previdenza (clausola 7.2.4);

la clausola 8 contempla pervasivi obblighi circa la tenuta della contabilità del ramo d’azienda, mediante registri separati da quelli generali dell’impresa, un obbligo di rendiconto al concedente sul fatturato conseguito e il diritto del concedente di richiedere una revisione delle scritture contabili dell’affittuario e un inventario della merce;

la clausola 12.1 limita l’utilizzo di specifici segni distintivi, vieta l’utilizzo di una ditta per il ramo d’azienda e autorizza il concedente a utilizzare il marchio dell’affittuario a scopo pubblicitario.

Sono, nei successivi allegati, dettagliatamente descritte le infrastrutture messe a disposizione dell’affittuario, nell’ambito del centro commerciale.

Alla luce di tali esplicite pattuizioni e per come è stata concretamente descritta l’attività delle società convenute, si deve ritenere che il centro commerciale ha natura di azienda, organizzata in tanti rami quanti sono i singoli esercizi ivi presenti.

Le osservazioni svolte dalle convenute, per contro, non sono idonee a superare la qualificazione univocamente emergente dalle pattuizioni delle parti, come contratto d’affitto di ramo d’azienda e non di locazione.

Quanto agli investimenti effettuati da Bergamaschi & Vimercati per l’arredamento del negozio, si deve osservare, come già ritenuto dalla citata sentenza fiorentina, che il riarredamento è facoltà dell’affittuario e non snatura il contratto. Per altro verso, nella giurisprudenza di legittimità, alla luce della ratio normativa dell’art. 2112, si è ritenuto che, per potere escludere l’autonomia organizzativa del ramo d’azienda, non è sufficiente lo scorporo da esso di una parte dei mezzi produttivi. Nel caso di specie, il riarredamento costituisce un elemento del tutto secondario rispetto al valore del negozio avviato e collocato nell’ambito del centro commerciale, con i servizi e le pertinenze inerenti.

Occorre, in proposito, rammentare che “Secondo un risalente principio di legittimità la cessione di ramo d’azienda è configurabile ove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi (Cass. n. 17919 del 2002; Cass. n. 13068 del 2005; Cass. n. 22125 del 2006).

Detta nozione di trasferimento di ramo d’azienda è coerente con la disciplina in materia dell’Unione Europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha proceduto alla codificazione della direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui “è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria” (art. 1, n. 1, direttiva 2001/23).

La ratio della disciplina comunitaria è intesa ad assicurare la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell’ambito di un’attività economica indipendentemente dal cambiamento del proprietario e, quindi, è finalizzata a proteggere i lavoratori nella situazione in cui siffatto cambiamento abbia luogo (Corte di Giustizia, 7 febbraio 1985, C-186/83, Botzen e a., punto 6; Corte di Giustizia, 18 marzo 1986, C-24/85, Spijkers, punto 11); essa, infatti, riguarda il “ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti”, per cui non è direttamente incidente nelle ipotesi in cui non si controverta del “mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti” presso la cessionaria, in difetto dei presupposti previsti dal diritto dell’Unione (cfr. Corte di Giustizia, 6 marzo 2014, C-458/12, Amatori ed a., punti 35 e 37).

La Corte di Giustizia, cui compete il monopolio interpretativo del diritto comunitario vivente (ex plurimis: Cass. n. 19740 del 2008), ha ripetutamente individuato la nozione di entità economica come complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obbiettivo (cfr. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C- 13/95, Suzen, punto 13; Corte di Giustizia, 20 novembre 2003, C- 340/2001, Abler, punto 30; Corte di Giustizia, 15 dicembre 2005; C- 232/04 e C-233/04, Guney-Gorres e Demir, punto 32) e sia sufficientemente strutturata ed autonoma (cfr. Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, Hernandez Vidal e a., C-127/96, C-229/96, C-74/97, punti 26 e 27; Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, Jouini, C-458/05, punto 31; Corte di Giustizia, 6 settembre 2011, C-108/10, Scattolon, punto 60; Corte di Giustizia, 20 luglio 2017, C-416/16, Piscarreta Ricardo, punto 43; Corte di Giustizia, 13 giugno 2019, C-664/2017, Ellinika Nafpigeia AE, punto 60).

Anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, questa Corte ha ribadito che, ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c., rappresenta elemento costitutivo della cessione “l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere – autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione” (sul tema v. diffusamente Cass. n. 11247 del 2016; di analogo tenore, assunte in decisione nella medesima udienza pubblica del 26 febbraio 2016, Cass. nn. 9682, 10243, 10352, 10540, 10541, 10542, 10730, 11248 del 2016; tra le successive conformi v.: Cass. n. 19034 del 2017; Cass. n. 28593 del 2018).

Tali pronunce sono significative anche nel caso che ci occupa perchè hanno confermato la sentenza d’appello che aveva escluso l’operatività dell’art. 2112 c.c., nella sua formulazione successiva al 2003, tra l’altro, per “la mancata cessione dei programmi e dei sistemi informatici che venivano utilizzati dai dipendenti prima dello scorporo”, sancendo poi, nel principio di diritto enunciato in funzione nomofilattica, l’indipendenza “dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti” (analogamente v. poi Cass. n. 1316 del 2017 e Cass. n. 19034 del 2017, in ipotesi di cessione di un call center in cui i programmi informatici erano rimasti nella proprietà esclusiva della cedente)” (Cass., sez. lav., 16.3.2021, n. 7364).

Tantomeno il cambio di settore merceologico successivamente alla retrocessione appare elemento determinante, per escludere la sussistenza di una cessione di ramo d’azienda.

Sotto un profilo statico, esso era circostanza con ogni probabilità imprevedibile al momento della stipulazione del contratto, sicché non può avere influito sulla volontà delle parti di concludere un affitto di ramo d’azienda, piuttosto che una locazione commerciale.

Sotto un profilo dinamico, come le stesse parti, nel corso della discussione, hanno confermato, l’azienda-centro commerciale si caratterizza proprio per la compresenza di una molteplicità di negozi che vendono merci diverse (dagli articoli per la casa, all’abbigliamento sportivo e non, al cibo e tanti altri). L’attrattività commerciale (e il conseguente avviamento) deriva anche dal fatto che il consumatore, recandosi in un unico luogo, può reperire negozi diversi, consumare pasti e trascorrervi anche un’intera giornata. Il mutamento della tipologia di merci vendute in occasione del cambio di gestione dei negozi-rami d’azienda costituisce, quindi, una caratteristica normale dell’azienda in questione. Essa non può essere paragonata ad analoga evenienza in un negozio autonomo e isolato, che chiuda e tempo dopo sia rilevato da imprenditore del tutto diverso, che vi apra una nuova attività, munendosi della relativa autorizzazione, ristrutturi i locali e lanci ex novo una propria attività commerciale.

Le convenute hanno, poi, rimarcato la specifica esperienza dei dipendenti assunti presso Bergamaschi & Vimercati nel settore dei casalinghi, così come di quelli operanti presso negozi diversi, nello specifico settore merceologico di riferimento, ciò che dovrebbe, a loro avviso, escludere che si possa far luogo a una prosecuzione del contratto presso un diverso commerciante. L’argomento può avere consistenza sul lato della gestione aziendale, ma non sul piano giuridico. Si deve, infatti, notare, in primo luogo, che non sono state offerte prove sufficienti a dimostrare che le lavoratrici addette – per un periodo durato, al massimo, sette anni – al negozio di Bergamaschi & Vimercati non avessero le competenze per poter vendere altri prodotti. In ogni caso, si deve rilevare che non si verte in un caso “di cessioni di rami aziendali “dematerializzati” o “leggeri” dell’impresa, nei quali il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni, in conformità con principi, anche comunitari (Corte di Giustizia 11 marzo 1997, Suzen, C-13/95, punto 18; Corte di Giustizia, 10 dicembre 1998, C-127/96, C-229/96, C-74/97, Hernandez Vidal e a., punto 31; Corte di Giustizia, 20 gennaio 2011, C-463/09, CLECE, punto 36), che si sono affermati essenzialmente nel campo della successione negli appalti laddove sono i lavoratori ad invocare l’applicazione dell’art. 2112 c.c., per transitare nell’impresa subentrante, per i quali principi oggetto del trasferimento del ramo può essere anche un gruppo organizzato di dipendenti specificamente e stabilmente assegnati ad un compito comune, senza elementi materiali significativi (in precedenza, tra molte, v. Cass. n. 17207 del 2002; Cass. n. 206 del 2004; Cass. n. 20422 del 2012; Cass. n. 5678 del 2013; Cass. n. 21917 del 2013; Cass. n. 9957 del 2014)” (la definizione è tratta da Cass., sez. lav., 16.3.2021, n. 7364). Per contro, il ramo d’azienda è costituito dall’immobile, con la sua collocazione, l’avviamento e i servizi sopra ricordati e il cd. know-how dei lavoratori costituisce una parte decisamente marginale del valore del ramo, come, tra le altre cose, dimostrato dal fatto che essi sono stati licenziati, senza, evidentemente, determinare una significativa perdita del valore aziendale.

In definitiva, dall’esame complessivo di tutti gli elementi suindicati, non può negarsi che si sia trattato di una cessione di ramo d’azienda, con conseguente applicabilità dell’art. 2112 c.c.

  1. Il sindacato, dunque, lamenta la violazione dell’art. 47, l. n. 428/1990, per essere stata omessa la sua consultazione, in occasione della retrocessione dell’azienda al concedente (e del suo conseguente riaffitto ad altro soggetto). La circostanza è pacifica e deriva proprio dal fatto che le convenute hanno negato trattarsi di un trasferimento di ramo d’azienda.

L’applicabilità della disposizione citata non resta esclusa dal fatto che, al momento della retrocessione, il ramo era privo di dipendenti, poiché licenziati. L’obbligo di comunicazione ai sindacati, infatti, sorge “almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un’intesa vincolante tra le parti, se precedente” e il fatto che i dipendenti sono stati licenziati con due mesi di preavviso è indice del fatto che l’evento era tutt’altro che imprevisto, venticinque giorni prima del suo verificarsi.

Non è, poi, stato oggetto di controversia tra le parti il fatto che il complesso dell’azienda-centro commerciale superi la soglia dimensionale prevista dalla disposizione.

Dati tali presupposti, l’antisindacalità dell’omessa informativa sindacale è prevista a monte dal legislatore (art. 47, terzo comma, l. n. 428/1990), il che esime il Tribunale da un puntuale esame delle prerogative sindacali pretermesse nel caso di specie e del carattere lesivo della condotta datoriale.

Si deve, poi, aggiungere che né l’esaurimento della retrocessione dell’azienda e suo riaffitto, né la conciliazione di alcune delle controversie individuali, eliminano l’interesse del sindacato ad agire per l’accertamento dell’antisindacalità della condotta.

Sul punto, la S.C. ha precisato che neanche il venir meno della controversia individuale con il lavoratore interessato dalla condotta che si assume antisindacale, condizione neppure ricorrente nel caso di specie, elide l’interesse del sindacato a ottenere una pronuncia dichiarativa dell’antisindacalità della condotta imprenditoriale (Cass., sez. lav., 21.10.1997, n. 10339).

Tantomeno può ritenersi venuto meno il requisito dell’attualità della condotta antisindacale. Consolidata giurisprudenza di legittimità, in proposito, ha ritenuto che “il requisito dell’attualità della condotta o il perdurare dei suoi effetti, essenziale nell’azione di repressione della condotta antisindacale, di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 28, deve intendersi nel senso che il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l’ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale” (Cass. 2005/11741; 2003/1684; 5422/1998)” (Cass., sez. lav., 12.11.2010, n. 23038).

  1. Non può, invece, trovare accoglimento la domanda volta alla declaratoria di nullità della pattuizione di cui alle clausole 7.1.1 e 7.1.2 dell’allegato A al contratto d’affitto d’azienda.

Potendosi agevolmente pervenire alla declaratoria di infondatezza nel merito della domanda, per il principio della ragione più liquida, il Tribunale può esimersi dal complesso esame delle eccezioni di inammissibilità sollevate dalle convenute.

Va detto che le pattuizioni in parola non contrastano con l’art. 2112 c.c., ma ne presuppongono l’applicazione e soprattutto, esse disciplinano esclusivamente i rapporti interni tra le due società e non sono opponibili né al sindacato, né ai singoli lavoratori.

Inoltre, contrariamente a quanto pare ritenere parte ricorrente, tale clausola non impone affatto l’omissione della consultazione sindacale (unico profilo in relazione a cui il sindacato ha legittimazione e interesse ad agire). Con essa, l’affittuario promette il fatto del terzo e cioè che i lavoratori rinuncino a rivendicare la prosecuzione del rapporto di lavoro con il concedente, facendosi carico dei relativi incombenti e costi e garantendo quest’ultimo di essere manlevato dalle pretese dei dipendenti.

In relazione a una clausola avente contenuto e finalità simili, ancorché formulata in termini di manleva, la S.C., con pronuncia che il Tribunale condivide, ha ritenuto che “la clausola di ‘manleva’ è destinata ad operare proprio sul presupposto dell’applicazione dell’art. 2112 c.c., ossia della continuità del rapporto di lavoro della Ma.Gi. alle dipendenze dell’affittuaria del ramo d’azienda, che rappresenta appunto l’evento dannoso preso in considerazione dai contraenti in quella clausola. Dunque non sussiste alcuna violazione dell’art. 2112 c.c., che anzi viene integralmente rispettato e presupposto come rispettato, come sopra precisato” (Cass., sez. lav., 7.2.2025, n. 3133).

In assenza di una pattuizione esplicita o comunque univocamente volta a escludere la consultazione sindacale (ciò che sarebbe senz’altro stato affetto da nullità per violazione di norma imperativa), tale obbligo legale permane intatto e la clausola contrattuale in questione si limita a distribuire tra gli imprenditori i costi dell’operazione di ricollocazione dei lavoratori o di conciliazione delle controversie individuali con gli stessi, il che esula chiaramente dal presente giudizio.

  1. In definitiva, va rigettato il capo sub a) e la domanda di declaratoria di nullità di cui alla prima parte del capo b) delle conclusioni, che viene, invece, accolto quanto alla declaratoria di antisindacalità della condotta, con l’ordine di inviare al sindacato la prevista comunicazione, che dovrà essere trasmessa per conoscenza anche agli altri sindacati aventi i requisiti di rappresentatività previsti dalla disposizione.

Il fatto che trattasi di adempimento ormai sostanzialmente formale non elimina l’interesse ad agire del sindacato, atteso che, come già rammentato, l’azione ex art. 28 mira anche all’eliminazione di una situazione di incertezza circa l’entità e l’esercizio delle prerogative sindacali.

Quanto alla richiesta pubblicità, può essere accolta la domanda volta alla pubblicazione del presente provvedimento sui siti internet delle convenute. Per contro, trattandosi di questione di precipuo interesse dei lavoratori operanti presso il centro commerciale “Vicolungo The Style Outlets” e non di interesse generale, non appare opportuno disporre la pubblicazione su organi di

stampa. Alternativamente, si dispone (ritenendo tale pronuncia un minus rispetto alla pubblicazione sui giornali) che una copia cartacea del presente decreto sia affissa su ciascuna delle bacheche destinate alle comunicazioni al personale e agli annunci di lavoro, presenti nel centro commerciale, nonché presso la sede dell’Agenzia Piemonte lavoro, che le parti hanno riferito esservi presente, per un periodo di 90 giorni, a cura e spese delle convenute, con autorizzazione per la ricorrente a provvedervi in sostituzione, nel caso in cui queste ultime non adempiano.

  1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano, ai sensi del d.m. n. 55/2014, come modificato dal d.m. n. 147/2022, in applicazione analogica dei parametri previsti per i procedimenti cautelari, tenuto conto del valore indeterminabile della causa, della sua natura documentale, dell’accoglimento solo parziale della domanda e della media complessità delle questioni di fatto e di diritto che ne hanno costituito oggetto, in complessivi euro 3.800, oltre rimborso spese forf. 15% e accessori fiscali e previdenziali come per legge.

P.Q. M.

1) in parziale accoglimento del ricorso:

dichiara l’antisindacalità della condotta, consistita nel mancato invio al sindacato ricorrente della comunicazione di cui all’art. 47, primo comma, l. n. 428/1990, in occasione della retrocessione di ramo d’azienda da Bergamaschi & Vimercati a Neptune Vicolungo I s.r.l.;

ordina a Bergamaschi & Vimercati e Neptune Vicolungo I s.r.l. di trasmettere tale comunicazione entro cinque giorni lavorativi dalla comunicazione del presente provvedimento, ai sindacati aventi i requisiti di cui all’art. 47, primo comma, l. n. 428/1990;

ordina a Bergamaschi & Vimercati e Neptune Vicolungo I s.r.l. di pubblicare il testo del presente provvedimento sui rispettivi siti internet e di affiggere una copia cartacea dello stesso, per il periodo minimo di 90 giorni dalla prima affissione, presso ciascuna delle bacheche destinate alle comunicazioni al personale e agli annunci di lavoro, nonché presso la sede dell’Agenzia Piemonte lavoro, presenti presso Vicolungo The Style Outlets, autorizzando Filcams CGIL di Novara e del Verbano Cusio Ossola a provvedervi in sostituzione, con le medesime modalità, in caso di inadempimento delle società dopo 10 giorni dalla comunicazione del presente decreto, addebitando a queste ultime i costi di stampa e trasporto da Novara al centro commerciale;

2) rigetta nel resto il ricorso;

3) condanna Bergamaschi & Vimercati e Neptune Vicolungo I s.r.l., in solido tra loro, alla rifusione delle spese processuali a favore di Filcams CGIL di Novara e del Verbano Cusio Ossola, liquidate in complessivi euro 3.800, oltre rimborso spese forf. 15% e accessori fiscali e previdenziali come per legge.

Nota a Trib. Novara 14 settembre 2025 (R.G. n. 618/2025)