Simulazione della malattia

L’onere di provare che la malattia del dipendente è simulata – ovvero che la diversa attività posta in essere dallo stesso sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio – incombe sul datore di lavoro. A tal fine egli può avvalersi di ogni mezzo di prova utilizzabile in giudizio per l’accertamento dei fatti, anche sollecitando il giudice ad esperire una consulenza tecnica d’ufficio ovvero ad attivare poteri officiosi ex 421 c.p.c.

Così si è pronunciata la Cassazione (27 novembre 2024, n. 30551), in relazione al ricorso proposto da una lavoratrice licenziata per un uso improprio delle assenze per malattia, tale da far desumere la simulazione della malattia medesima.

La Corte d’Appello (App. Roma n. 2797/2023), recependo l’esito della consulenza tecnica medica d’ufficio, che ha verificato la compatibilità delle attività fisiche espletate dalla dipendente rispetto alla situazione patologica decritta dai certificati di malattia, ha escluso che tali condotte siano idonee a causare un ritardo nella guarigione o un peggioramento del quadro complessivo.

Sulla scorta di tali argomentazioni, i giudici di secondo grado hanno ritenuto insussistente il fatto contestato, in quanto privo di potenzialità lesiva del vincolo fiduciario, e dichiarato illegittimo il licenziamento, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria “debole”, ex art. 18, co. 4, Stat. lav.

La Corte distrettuale ha altresì affermato che il datore di lavoro che voglia contestare l’esistenza della malattia del dipende assente deve proporre querela di falso della relativa certificazione.

La Cassazione, investita della questione, si pone invece in una diversa prospettiva circa i mezzi esperibili dal datore di lavoro per dimostrare la simulazione della malattia.

La simulazione dello stato di malattia può desumersi dalla valorizzazione di una pluralità di circostanze di fatto, senza che sia necessario contestare la falsità dei certificati medici.

A tal fine, il datore di lavoro può avvalersi di qualsiasi mezzo di prova, sollecitando altresì il giudice ad esperire una CTU oppure ad attivare poteri officiosi, ai sensi dell’art. 421 c.p.c.

Il giudice deve valutare modalità, tempi e luoghi della diversa attività svolta dal dipendente in costanza di malattia, attribuendo rilievo, anche ai fini dell’elemento soggettivo, alla circostanza che si tratti di attività ricreativa o ludica ovvero prestata a favore di terzi. Egli è tenuto poi ad esaminare le caratteristiche della patologia diagnosticata per certificare l’assenza per malattia, vagliando se da tali elementi, eventualmente con l’ausilio peritale, scaturisca la prova che la malattia sia fittizia ovvero che la condotta tenuta dal lavoratore sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio.

Il certificato redatto da un medico convenzionato con un Ente previdenziale o con il Servizio Sanitario Nazionale per il controllo della sussistenza delle malattie del lavoratore è atto pubblico che fa fede, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato nonché dei fatti che quest’ultimo attesta aver compiuto o essere avvenuti in sua presenza (Cass. n. 5000/99; conforme, fra le molte, Cass. n. 10569/2001).

«Tale fede privilegiata non si estende anche ai giudizi valutativi che il sanitario ha “in occasione del controllo” espresso in ordine allo stato di malattia e all’impossibilità temporanea della prestazione lavorativa» (Cass. n. 6045/2000; Cass. n. 18507/2016).

“Tali giudizi, infatti, pur dotati di un elevato grado di attendibilità in ragione della qualifica funzionale e professionale del pubblico ufficiale e dotati, quindi, di una particolare rilevanza sotto il profilo dell’art. 2729 c.c., consentono al giudice di considerare anche elementi probatori di segno contrario acquisiti al processo”.

In ragioni di tali argomentazioni, i Giudici di legittimità hanno affermato che la Corte territoriale, a fronte della contestazione disciplinare irrogata dalla società che comprendeva sia il profilo della simulazione della malattia sia, in alternativa, il profilo dell’aggravamento della stessa durante l’assenza dal lavoro, ha errato a valutare solamente quest’ultimo, senza approfondire l’aspetto relativo alla possibile simulazione della malattia (“cervicobrachialgia acuta con vertigine, patologia che è stata ritenuta sussistente, dal consulente medico d’ufficio, sulla base della mera attestazione del medico di medicina generale”).

In altri termini, i giudici di merito hanno erroneamente asserito che per contestare l’esattezza d’una diagnosi sia necessaria una querela di falso del certificato.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE 27 novembre 2024, n. 30551

FATTI DI CAUSA

1.La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto illegittimo il provvedimento di licenziamento intimato l’11.9.2018 da omissis spa nei confronti della dipendente  -omissis-   per uso improprio dell’assenza per malattia tale da far desumere la simulazione della malattia medesima ovvero per comportamento contrario ai doveri di correttezza, buona fede, fedeltà aziendale nell’esecuzione del rapporto idoneo a determinare il prolungamento della malattia stessa, ed ha applicato la sanzione reintegratoria prevista dall’art. 18, comma 4, della legge 300 del 1970.

2. La Corte di appello, escluso il carattere discriminatorio del licenziamento, ha recepito l’esito della consulenza tecnica medica d’ufficio disposta in sede di reclamo la quale ha verificato la compatibilità delle attività fisiche espletate dalla dipendente rispetto alla situazione patologica decritta dai certifica ti di malattia ed ha escluso che tali condotte fossero idonee a causare un ritardo nella guarigione o un peggioramento del quadro complessivo; ritenuto, pertanto, insussistente il fatto contestato in quanto privo di potenzialità lesiva del vincolo fiduciario, la Corte territoriale ha dichiarato illegittimo il licenziamento ed ha applicato la tutela reintegratoria dettata dall’art. 18, comma 4, della legge 300 del 1970.

3. Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso affidato a tre motivi. La lavoratrice è rimasta intimata. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ex 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost., 132 c.p.c., 118 disp.att. c.p.c. per avere, la Corte di appello, escluso la simulazione della malattia attraverso una motivazione apparente, generica e apodittica ossia sul mero rilievo che la società non aveva proceduto a contestare la falsità della documentazione medica prodotta dalla lavoratrice; invero, proprio perché la società – in sede disciplinare – non conosceva la diagnosi e le limitazioni proprie della patologia sofferta daIla lavoratrice, ha improntato la contestazione disciplinare sia sotto il profilo della simulazione della malattia sia, in alternativa, sotto il profilo dell’aggrava mento della stessa e i giudici di merito, una volta escluso l’ultimo profilo, non hanno adeguatamente motivato sul primo ed hanno affermato, erroneamente, che il datore di lavoro che intenda contesta re in giudizio la sussistenza della malattia del proprio dipendente deve proporre querela di falso con riguardo alla certificazione medica.

2. Con il secondo motivo si denunzia, ex 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2700 c.c., 221 c.p.c., 5 della legge n. 300 del 1970 avendo, la Corte territoriale, affermato, erronea mente, che il datore di lavoro che intenda contesta re in giudizio la sussistenza della malattia del proprio dipendente deve proporre querela di falso con  riguardo  alla  certificazione  medica;  l’orientamento consolidato afferma, invece, chela simulazione dello stato di malattia può desumersi dalla valorizzazione di una pluralità di circostanze di fatto (indicate tempestivamente dalla società nei propri atti difensivi) senza che sia necessario contestare la falsità dei certificati medici.

3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce, ex 360, primo comma, n.5, c.p.c., omesso esame di una pluralità di circostanze di fatto decisive che, se esaminate e valorizzate, consentiva no di ritenere accertata la simula zione della malattia.

4. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

4.1 L’apparenza della motivazione che, potendosi parificare alla motivazione inesistente, ne consente la censura ai sensi dell’art. 132 4 c.p.c. si verifica nel caso in cui essa «benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fonda mento deIla decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’ interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture» (Cass., S.U., 3 novembre 2016, n. 22232): in questi casi si può dunque parlare di assenza di una motivazione percepibile realmente come tale.

4.2 Nella specie, non si ravvisa un vizio del genere nella sentenza impugnata, giacché la Corte distrettuale ha motivato la propria decisione, rendendo chiara mente intelligibile l’iter logico-giuridico seguito.

5. È invece fondato il secondo motivo.

5.1 Preliminarmente, va rammentato che secondo un principio da ritenersi consolidato nel diritto vivente (tra molte: Cass. n. 1747 del 1991; n. 9474 del 2009; Cass. n. 21253 del 2012; Cass. n. 17625 del 2014; Cass., n. 24812 del 2016; Cass. n. 21667 del 2017; Cass. n. 13980 del 2020; Cas n. 13063  del  2022),  durante il periodo  di sospensione del rapporto determinato dalla malattia permangono in capo lavoratore tutti gli obblighi non strettamente inerenti allo svolgimento della prestazione; tra gli altri, gli obblighi di diligenza e fedeltà di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c., oltre che gli obblighi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. (cfr. Cass. n. 7915 del 1991); questo complesso di obbligazioni riverbera i propri effetti anche sulle condotte non direttamente concernenti l’adempimento della prestazione lavorativa ma che devono essere ispirate all’esigenza di salvaguardare l’interesse creditorio del datore di lavoro all’effettiva esecuzione della prestazione dovuta. L’art. 2110 c.c., in deroga ai principi generali, riversa entro certi limiti, sul datore di lavoro il rischio della temporanea impossibilità lavorativa dovuta a infermità (Cass. n. 10706 del 2008; Cass. n. 14046 del 2005; Cass. n. 15916 del 2000): ne consegue che tale deroga deve essere armonizzata con i princìpi di correttezza e buona fede che devono presiedere a!l’esecuzione del contratto, i quali assumono rilevanza non solo sotto il profilo del comportamento dovuto in relazione a specifici obblighi di prestazione ma anche sotto il profilo delle modalità di generico comportamento delle parti ai fini della concreta realizzazione delle rispettive posizioni di diritti e obblighi (Cass. n. 9141 del 2004), imponendo a ciascuna di esse il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, anche a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge (cfr. Cass. n. 14726 del 2002; secondo Cass. 55.UU. n. 28056 del 2008, nell’osservanza degli obblighi di correttezza e buona fede le parti del rapporto obbligatorio hanno il dovere di agire in modo da preserva re gli interessi dell’altra; per una recente applicazione del principio v. Cass. n. 6497 del 2021).

5.2 In tale prospettiva assume peculiare rilievo l’eventuale violazione del dovere di osservare tutte le cautele, comprese quelle terapeutiche e di riposo prescritte dal medico, atte a non pregiudicare il recupero delle energie lavorative temporaneamente minate dall’infermità, affinché vengano ristabilite le condizioni di salute idonee per adempiere la prestazione principale cui si è obbligati, sia che si intenda tale dovere quale riflesso preparatorio e strumentale dello specifico obbligo di diligenza, sia che lo si collochi nell’ambito dei più generali doveri di protezione scaturenti dalle clausole di correttezza e buona fede in executivis, evitando comportamenti che mettano in pericolo l’adempimento dell’obbligazione principale del lavoratore per la possibile o probabile protrazione dello stato di malattia. La valutazione dell’incidenza – sulla guarigione – dell’altra attività esercitata dal lavoratore è costituita da un giudizio ex ante, riferito al momento in cui il comportamento contestato si è tenuto ed ha per oggetto la potenzialità del pregiudizio, con la conseguenza che, ai fini di questa potenzialità, la tempestiva ripresa del lavoro resta irrilevante (per tutte, v. Cass. n. 14046 del 2005; conf., Cass. n. 24812 del 2016; Cass., n. 21667 del 2017; Cass. n. 3655 del 2019; Cass. n. 9647 del 2021).

5.3 L’accertamento in ordine alla sussistenza o meno dell’inadempienza idonea a legittimare il licenziamento, sia essa la fraudolenta simulazione della malattia ovvero l’idoneità della diversa attività contestata a pregiudicare il recupero delle normali energie psicofisiche, si risolve in un giudizio di fatto, che dovrà tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, come tale riservato aI giudice del merito, con i consueti limiti di sindacato in sede di legittimità (ad ex Cass. n. 3142 del 1983; Cass. n. 2585 del 1987; più di recente ex multis, Cass. n. 17625 del 2014; Cass. n. 21667 del 2017).

5.4 L’onere di provare che la malattia del dipendente era simulata ovvero che la diversa attività posta in essere dallo stesso fosse potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio incombe sul datore di lavoro (Cass. n.13O63 del 2022): il datore di lavoro può avvalersi di ogni mezzo di prova utilizzabile in giudizio per l’accertamento dei fatti, anche sollecitando il giudice ad esperire una consulenza tecnica d’ufficio ovvero ad attivare poteri officiosi ex 421 c.p.c. e il giudice, nel rispetto del criterio (tipico del rito del lavoro) del giusto contemperamento del principio dispositivo con le esigenze della ricerca della verità materiale, deve valutare modalità, tempi e luoghi della diversa attività svolta dal dipendente in costanza di malattia, attribuendo rilievo, anche ai fini dell’elemento soggettivo, alla circostanza che si tratti di attività ricreativa o ludica ovvero prestata a favore di terzi; occorrerà poi esaminare le caratteristiche della patologia diagnosticata per certificare l’assenza per malattia; infine, occorrerà verificare se da tali elementi, eventualmente con l’ausilio peritale, scaturisca la prova che la malattia fosse fittizia ovvero che la condotta tenuta dal lavoratore fosse potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro al lavoro.

5.5 Ebbene, è consolidato l’orientamento di legittimità, per il quale il certificato redatto da un medico convenzionato con un ente previdenziale o con il Servizio Sanitario Nazionale per il controllo della sussistenza delle malattie del lavoratore è atto pubblico che fa fede, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato nonché dei  fatti  che il pubblico ufficiale medesimo attesta aver compiuto o essere avvenuti in sua presenza”  (Cass. 22 maggio 1999 n. 5000; conforme, fra le molte, Cass 2 agosto 2001 n. 10569). È stato peraltro precisato che “tale fede privilegiata non si estende anche ai giudizi valutativi che il sanitario ha ” in occasione del controllo ” espresso in ordine allo stato di malattia e all’impossibilità temporanea della prestazione lavorativa” (Cass. 11 maggio 2000 n. 6045; Cass. n. 18507 del 2016 e ivi ulteriori rinvii). Tali giudizi, infatti, pur dotati di un elevato grado di attendibilità in ragione della qualifica funzionale e professionale del pubblico ufficiale e dotati, quindi, di una particolare rilevanza sotto il profilo dell’art. 2729 c.c., consentono al giudice di considerare anche elementi probatori di segno contrario acquisiti al processo.

5.6 Ha errato, pertanto, la Corte territoriale, a fronte della contestazione disciplinare irrogata dalla società che comprendeva sia il profilo della simulazione della malattia sia, in alternativa, il profilo dell’aggravamento della stessa durante l’assenza dal lavoro, a valutare solamente quest’ultimo, senza approfondire l’aspetto relativo alla possibile simulazione della malattia (cervicobrachialgia acuta con vertigine, patologia che è stata ritenuta sussistente, dal consulente medico d’ufficio, sulla base della mera attestazione del medico di medicina generale). In altre parole la Corte distrettuale ha erroneamente asserito che per contestare l’esattezza d’una diagnosi sia necessaria una querela di falso del certificato

6. Il terzo motivo di ricorso non è fondato.

6.1 La valutazione delle allegazioni delle parti e la ricostruzione dei fatti è demandata al giudice di merito e non è censurabile davanti al giudice di legittimità a meno che non sia ravvisabile un omesso esame di fatti principali o secondari decisivi che, se presi in esame, avrebbero determinato un esito diverso  del  giudizio.  I fatti indicati  in ricorso sono stati considerati dai giudici di merito con riguardo, come innanzi sottolineato, al profilo della idoneità ad aggravare o impedire la guarigione, non rivestono profilo di decisività ai fini dell’esito della causa, e il motivo si risolve, in realtà, in censure di “malgoverno” della documentazione sanitaria e delle sue risultanze, aspetti ormai del tutto estranei al vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. come riconfigurato a seguito della novella del 2012.

7. In conclusione, il secondo motivo di ricorso va accolto, rigettati il primo e il terzo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, la quale provvederà ad accerta re il carattere, genuino o non, della patologia (cervicobrachialgia acuta con vertigine) lamentata dalla lavoratrice. Provvederà, inoltre, sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettati il primo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione aI motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, che provvederà altresì sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi di -Omissis – a norma dell’art. 52 del lgs. n. 196 del 2003, come modificato dal d.lgs. n. 101 del 2018.

Nota a Cass. 27 novembre 2024, n. 30551