Abuso di fiducia e licenziamento

La condotta “truffaldina” tenuta dal lavoratore che si assenti dal lavoro, con modalità tali da farlo ritenere del tutto privo di responsabilità rispetto alle mansioni apicali rivestite in azienda, legittima l’applicazione della sanzione espulsiva (anche in base al ccnl del settore Terziario, distribuzione e servizi), quale abuso di fiducia e grave violazione degli obblighi di osservanza scrupolosa dei doveri d’ufficio a carico del dipendente.

Lo afferma la Corte di Cassazione ord. 28 ottobre 2024, n. 30613, in linea con la Corte territoriale (App. Cagliari) che ha rilevato la “natura truffaldina della condotta posta in essere dell’appellante [lavoratore] al fine di recarsi a Milano per motivi esclusivamente personali rimasti del tutto ignoti, arricchita da una pluralità di invenzioni architettate con totale assenza di responsabilità rispetto alle mansioni ricoperte all’interno dell’azienda (direttore di punto vendita)”.

Secondo la Cassazione, la sussunzione della condotta del dipendente in termini di “abuso di fiducia” e di “grave violazione degli obblighi dettati dal ccnl ossia dell’osservanza scrupolosa dei doveri d’ufficio” – secondo il ccnl applicato in azienda e sulla base dell’apprezzamento della gravità della condotta ai sensi dell’art. 2119 c.c. – non costituisce una “mera assenza dal lavoro, ma un comportamento del dipendente connotato da un quid pluris rappresentato da: programmazione anticipata e risalente nel tempo; pervicacia nel decidere “di non presentarsi al lavoro; comunicazioni tali far intendere all’azienda di essere al capezzale della moglie; assenza di qualunque scrupolo per le esigenze aziendali in chi ricopre il ruolo di direttore del punto vendita”.

Tale comportamento, per i giudici, esclude la riconducibilità della condotta alle norme collettive che puniscono con sanzione conservativa “l’assenza dal lavoro, la mancata presentazione o l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro” (cfr. Cass. n. 26198/2022, in q. sito con nota di G. CATANZARO).

Nella fattispecie considerata, la Corte di merito non ha sussunto il comportamento del lavoratore fra le condotte non punibili con il licenziamento alla stregua del contratto collettivo applicabile che sanziona “con il licenziamento solo l’assenza ingiustificata protratta per oltre cinque giorni consecutivi o ripetuta per cinque volte in un anno nei giorni seguenti alle festività e alle ferie; ciò, in quanto, nello specifico, non veniva in rilievo la sola assenza ingiustificata ma una condotta di vero e proprio abuso del diritto e quindi connotata da maggiore gravità oggettiva e soggettiva, rispetto a quella considerata dalla norma collettiva” (v. anche Cass. n. 20979/2024).

Sentenza: 

CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 novembre 2024, n. 30613

Lavoro – Domanda di declaratoria di illegittimità licenziamento – Ritardo ripresa del lavoro dopo pausa pranzo – Mancata presenza al lavoro giorno successivo – “Abuso di fiducia” – “Grave violazione degli obblighi” a carico del dipendente – Rigetto

Rilevato che

1.Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, confermando il provvedimento del giudice di primo grado, ha respinto la domanda proposta da M.C. nei confronti di N.I. s.r.l. (già T.I. s.r.l.) e di C.T.N.O. tesa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato il 12-13.3.2018.

2. La Corte territoriale, ha, rilevato che la contestazione disciplinare concerneva la condotta tenuta dal lavoratore, direttore di un punto vendita in Olbia, nelle giornate del 12 e 13 febbraio 2018 quando, senza avvisare il Responsabile, aveva ritardato la ripresa del lavoro dopo la pausa pranzo, per poi allontanarsi, in serata, da Olbia (in volo per Milano) senza presentarsi al lavoro il giorno successivo invocando, telefonicamente, sopravvenuti impedimenti legati alla salute del coniuge e rassicurando, comunque, sulla possibilità di recarsi al lavoro in caso di necessità, lasciando dunque intendere di trovarsi in città; sottolineata la specificità e la tempestività dei fatti contestati (tali da rendere irrilevante l’esibizione di documentazione da parte dell’azienda durante il procedimento disciplinare) e individuata esattamente l’infrazione disciplinare addebitata (consistente nella condotta “truffaldina” tenuta dal lavoratore, del tutto privo di responsabilità rispetto alle mansioni apicali rivestite in azienda, e non semplicemente in un’assenza ingiustificata), ha ritenuto la condotta di tale gravità da giustificare la sanzione espulsiva, condotta punita con sanzione espulsiva anche dal CCNL applicato (Terziario, distribuzione e servizi) quale “abuso di fiducia” e “grave violazione degli obblighi” a carico del dipendente quale “l’osservanza scrupolosa dei doveri di ufficio”.

3. Avverso tale sentenza il lavoratore proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

La società N.I. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

4. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.

Considerato che

1.Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c. nonché 2697, 2730 e 2735 c.c. posto che, dalla documentazione prodotta in atti sin con il ricorso introduttivo del giudizio (nella specie, prospetto paga), risultava che il lavoratore avesse lavorato sette ore nella giornata del 12.2.2018, mentre per il giorno successivo fosse in ferie, documenti che contengono una evidente confessione sulla insussistenza dei fatti contestati e che non sono stati contestati dalla controparte.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione degli artt. 7 della legge n. 300 del 1970 nonché 1175 e 1375 c.c., avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto che la mancata consegna di tutta la documentazione posta, dal datore di lavoro, a base della contestazione disciplinare non costituisse violazione del diritto di difesa.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione dell’art. 225 del CCNL dipendenti Aziende del Terziario, distribuzione e servizi, avendo, la Corte territoriale, trascurato che la contrattazione collettiva di settore prevede la sanzione espulsiva solamente per l’assenza ingiustificata oltre tre giorni nell’anno solare, mentre per la fattispecie in esame (che si compendia nell’assenza ingiustificata per un solo giorno) è prevista una sanzione conservativa.

4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

4.1. Nel giudizio di legittimità il ricorrente che proponga una questione giuridica, implicante un accertamento di fatto, non trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa ( in tal senso fra le tante Cass. n. 8206/2016; Cass. n. 16706/2018; Cass. n. 16843/2018; Cass. S.U. n. 17532/2018; Cass. n. 25543 del 2018).

Detto onere non è stato assolto dal ricorrente il quale, nel lamentare l’omessa considerazione da parte della Corte territoriale, ai fini del giudizio di “insussistenza del fatto”, della documentazione prodotta in primo grado e, nella specie, della busta paga ove la giornata di assenza dal lavoro del 13.2.2018 veniva qualifica come “ferie”, non deduce e dimostra di avere sottoposto al giudice di primo grado (e poi a quello di appello) la relativa allegazione nonché la questione della illegittimità del licenziamento sotto tale specifico profilo, implicante un accertamento di fatto diverso da quello che emerge dalla sentenza impugnata.

4.2. Invero, non rileva che nel fascicolo del primo grado di giudizio fosse stata prodotta la busta paga di febbraio 2018, essendo consolidato il principio di diritto secondo cui, non potendo la produzione documentale equivalere di per sé all’allegazione del fatto di cui il documento è supporto narrativo, non si dà per il giudice alcun onere di esame e ancora meno di considerazione ai fini della decisione di documenti relativi a fatti che non siano stati oggetto di tempestiva e compiuta allegazione (così da ultimo Cass. n. 13625 del 2019, Cass. n. 9646 del 2022 e n. 1084 del 2023, Cass. n.14450 del 2024); in specie, la tempestiva allegazione – e valutazione da parte del giudice del merito – risultava determinante a fronte del consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce valore confessorio ai prospetti paga solamente nei casi in cui sussista un riconoscimento puro e semplice della verità di fatti sfavorevoli alla parte dichiarante, con carattere di univocità ed incontrovertibilità, dovendo, diversamente, il giudice, in mancanza di siffatte connotazioni dei fatti oggetto della confessione, apprezzarla liberamente, nel quadro della dichiarazione degli altri fatti e circostanze idonei ad infirmare, modificare od estinguere la efficacia dell’evento confessato (Cass. n. 2239 del 2017, la quale ha precisato che se la controparte contesta la verità dei fatti o deduce elementi aggiunti alla confessione, è rimesso al giudice di apprezzare, secondo le circostanze, l’efficacia probatoria delle dichiarazioni; cfr. altresì Cass. n. 12769 del 2003).

4.3. Nel caso di specie, la doglianza relativa alla qualificazione, come ferie, nel prospetto paga dell’assenza del lavoratore dal posto di lavoro in data 13 febbraio 2018 appare nuova e, perciò, inammissibile, non essendo stata la questione specificamente trattata nella decisione impugnata (che si occupa esclusivamente della ricostruzione, in fatto, delle vicende intercorse nei giorni 12 e 13 febbraio 2018, senza alcuna disamina del contenuto complessivo del prospetto paga in questione), ne’ avendo indicato parte ricorrente i tempi e i modi della sua tempestiva introduzione nel giudizio di primo grado e, quindi, della sua devoluzione al giudice del gravame (cfr. Cass. n. 20694 del 2018).

5. Il secondo motivo di ricorso non è fondato.

5.1. Questa Corte ha già affermato che in tema di procedimento disciplinare, la contestazione degli addebiti e il relativo grado di precisione risponde all’esigenza di consentire concretamente all’incolpato di approntare la propria difesa, sicché spetta al lavoratore, che si dolga della genericità della contestazione e della violazione del principio di sua immodificabilità, chiarire in che modo ne sia risultato leso il suo diritto di difesa (Cass. n. 30271 del 2022).

5.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha rilevato che la contestazione disciplinare era specifica e tempestiva, tale “da rendere del tutto irrilevante, sotto il profilo della difesa, l’esibizione della documentazione che ha consentito al datore di lavoro di accertare la condotta del lavoratore”, e il ricorrente non ha dedotto alcun concreto profilo di danno derivato dalla mancata trasmissione al difensore del rapporto dell’Agenzia investigativa.

6. Il terzo motivo di ricorso non è fondato.

6.1. In sintesi, parte ricorrente si duole che la sanzione espulsiva irrogata difetterebbe di proporzionalità e che l’illecito disciplinare accertato avrebbe dovuto essere punito con sanzione conservativa alla stregua di un giorno, sporadico, di assenza ingiustificata, come previsto dall’art. 225 CCNL applicato in azienda.

6.2. Per il primo aspetto è sufficiente rammentare come, ancora di recente (Cass. n. 8642 del 2024), è stato ribadito che il giudizio di proporzionalità della sanzione è devoluto al giudice di merito (ex pluribus: Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003); la valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità – che implica inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia – è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020); tale pronuncia ribadisce, poi, che in caso di contestazione circa la valutazione sulla proporzionalità della condotta addebitata – che è il frutto di selezione e di valutazione di una pluralità di elementi – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360, c.p.c., deve denunciare – beninteso, entro i limiti della cd. “doppia conforme” – l’omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 20817 del 2016).

6.3. In ordine al secondo aspetto, la Corte territoriale ha sottolineato che l’infrazione disciplinare contestata al lavoratore non consisteva nell’assenza ingiustificata dal lavoro bensì nella “natura truffaldina della condotta posta in essere dell’appellante [lavoratore] al fine di recarsi a Milano per motivi esclusivamente personali rimasti del tutto ignoti, arricchita da una pluralità di invenzioni architettate con totale assenza di responsabilità rispetto alle mansioni ricoperte all’interno dell’azienda (direttore di punto vendita)” (pag. 11 della sentenza impugnata).

6.4. Ciò posto, la sussunzione della condotta del dipendente in termini di “abuso di fiducia” e di “grave violazione degli obblighi dettati dal CCNL ossia dell’osservanza scrupolosa dei doveri d’ufficio” – secondo la scala valoriale (non vincolante) dettata dall’art. 25 del CCNL applicato in azienda e sulla base dell’apprezzamento della gravità della condotta ai sensi dell’art. 2119 c.c. – appare coerente con l’accertamento della concreta vicenda come operato dalla Corte territoriale, venendo in rilievo non la mera assenza dal lavoro, ma un comportamento del dipendente connotato da un quid pluris rappresentato da “programmazione anticipata e risalente” nel tempo, “pervicacia” nel decidere “di non presentarsi al lavoro il 13 febbraio”, comunicazioni tali far intendere all’azienda di essere al capezzale della moglie, di essere disponibile a rientrare in servizio nel pomeriggio del 13, di assentarsi per ferie solamente il 16 febbraio, in sintesi di “assenza di qualunque scrupolo per le esigenze aziendali in chi ricopre il ruolo di direttore del punto vendita”; questo esclude la riconducibilità della condotta alle norme collettive che puniscono con sanzione conservativa l’assenza dal lavoro, la mancata presentazione o l’abbandono ingiustificato del posto
di lavoro” (così Cass. n. 26198 del 2022, in un caso in cui i giudici del merito avevano dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato al dipendente per indebita fruizione di un permesso sindacale utilizzato per finalità estranee a quella propria del permesso in oggetto; in particolare, la Corte di merito aveva ritenuto che lo stesso non potesse essere sussunto fra le condotte non punibili con il licenziamento alla stregua del contratto collettivo applicabile che sanzionava con il licenziamento solo l’assenza ingiustificata protratta per oltre cinque giorni consecutivi o ripetuta per cinque volte in un anno nei giorni seguenti alle festività e alle ferie; ciò in quanto nello specifico non veniva in rilievo la sola assenza ingiustificata ma una condotta di vero e proprio abuso del diritto e quindi connotata da maggiore gravità oggettiva e soggettiva, rispetto a quella considerata dalla norma collettiva; nello stesso senso, Cass. n. 20979 del 2024).

7. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.

8. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Nota a Cass ord. 28 novembre 2024, n. 30613