“La conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell’art. 411, comma 3, c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore”.
Questo, l’importante principio affermato dalla Corte di Cassazione (ord. 15 aprile 2024, n. 100065), la quale precisa che:
a) secondo il co.6, art. 2103 c.c., (nel testo modificato dal Lgs. n. 81/2015): “Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro”;
b) l’ 2113 c.c., al quarto comma, esclude il divieto delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro (derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 c.p.c.), e legittima le rinunzie e transazioni ove siano oggetto di “conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-quater del codice di procedura civile”;
c) la particolare protezione giuridica apprestata dal legislatore nei confronti del lavoratore mediante la previsione dell’invalidità delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili e l’introduzione di un termine di decadenza per l’impugnativa ( n. 11167/1991) non appare necessaria in presenza di adeguate garanzie costituite dall’intervento di organi pubblici qualificati, operanti in sedi cd. protette, vale a dire (art. 2113 ult.co., c.c.): la sede giudiziale (artt. 185e 420c.p.c.), le commissioni di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, ora Ispettorato Territoriale del Lavoro (art. 410 e 411, co. 1 e 2, co. c.p.c.), le sedi sindacali (art. 411, co. 3, c.p.c.), oltre ai collegi di conciliazione e arbitrato (art. 412 ter e quater c.p.c.). In particolare, sottolineano i giudici, l’assistenza prestata da rappresentanti del sindacato cui appartiene il lavoratore o, comunque, dal medesimo indicati (v. Cass. n. 13217/2008 e n. 12858/2003) deve essere effettiva e ha lo scopo di porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in che misura (v. Cass. n. 25796/2023, in q. sito con nota di A. TAGLIAMONTE; Cass. n. 18503/2023, in motivaz. e Cass. n. 21617/2018), così da consentire l’espressione di un consenso informato e consapevole;
d) le citate disposizioni individuano “non solo gli organi dinanzi ai quali possono svolgersi le conciliazioni ma anche le sedi ove ciò può avvenire… I luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono, pertanto, equipollenti, sia perché direttamente collegati all’organo deputato alla conciliazione e sia in ragione della finalità di lavoratore un ambiente neutro, estraneo al all’influenza della controparte datoriale”;
e) pertanto, l’accordo conciliativo tra le parti in causa, sottoscritto dal datore di lavoro e dal lavoratore alla presenza di un rappresentante sindacale presso i locali della società, non soddisfa i requisiti normativa ai fini della validità delle rinunce e transazioni. Ciò, poiché “nel sistema normativo sopra descritto, la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l’assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere”.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE ordinanza 15 aprile 2024 n. 10065
Svolgimento del processo
1.La Corte d’Appello di Napoli ha respinto l’appello della P.A.S.I. Spa, confermando la sentenza di primo grado che, accogliendo il ricorso di … , aveva dichiarato la nullità del verbale di conciliazione sottoscritto tra le parti il 15 febbraio 2016 e condannato la società al pagamento, in favore del lavoratore, della somma di euro 11.186,84, oltre accessori.
2. La Corte territoriale ha premesso che, col citato verbale di conciliazione, la società si era impegnata a “non dare seguito ai preavvisati licenziamenti collettivi di cui alla lettera di apertura della procedura di mobilità del 24.11.2015 … a condizione che tutte le maestranze manifestassero la propria accettazione alla proposta. di riduzione della retribuzione mensile nella misura del 20% dell’imponibile fiscale per il periodo dall’1.3.2016 al 28.2.2018 eventualmente prorogabile per un massimo di altri due anni”; che l’accettazione della proposta doveva avvenire mediante “la sottoscrizione del verbale di conciliazione, da ratificarsi successivamente con le modalità inoppugnabili indicate negli artt. 410e 411 c.p.c.”; che il lavoratore aveva accettato la proposta di riduzione della retribuzione in misura del 20% allo scopo di scongiurare il rischio di licenziamento; che nel verbale sottoscritto dalle parti si dava atto che “il rappresentante sindacale ha previamente e dettagliatamente informato il lavoratore in merito agli effetti definitivi e inoppugnabili ex art. 2113 quarto comma c.c. della conciliazione”.
3. La sentenza d’appello ha richiamato l’art. 2103 c.c., come modificato dall’art. 3, d.lgs. 81 del 2015, che rende legittimo il patto di riduzione della retribuzione concluso nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, nelle sedi di cui all’art. 2113 c.c. o davanti alle commissione di conciliazione, sancendo la nullità di ogni patto contrario; ha accertato che la stipula dell’accordo conciliativo era avvenuta, nel caso in esame, presso la sede aziendale, alla presenza del rappresentante sindacale; ha ritenuto che la presenza del rappresentante sindacale presso i locali dell’azienda non valesse a sanare il difetto di neutralità del luogo di stipula dell’accordo e che, infatti, le stesse parti avevano previsto la successiva ratifica dell’accordo presso le sedi abilitate.
4. Avverso tale sentenza la … Spa ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. A.A. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato. La società ha depositato controricorso in replica al ricorso incidentale condizionato. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
5. Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Motivi della decisione
6. Con l’unico motivo di ricorso la società deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 411 c.p.c., 2113 e 2103 c.c. nonché degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369 c.c. e degli artt. 2727, 2728 e 2729 c.c. per avere la Corte d’appello erroneamente giudicato invalida la conciliazione intervenuta tra le parti in quanto svolta, non presso la sede sindacale, bensì presso i locali sede dell’azienda.
7. La ricorrente assume erronea l’interpretazione data dai giudici di appello per aver considerato la “sede sindacale” di cui all’art. 411 c.p.c. come luogo fisico-topografico e non invece come luogo virtuale di protezione del lavoratore, che si realizza attraverso l’effettiva assistenza in sede di conciliazione da parte del rappresentante sindacale cui lo stesso abbia conferito mandato. Sostiene che è soltanto l’assenza di una effettiva assistenza sindacale, il cui onere di prova grava sul lavoratore, a poter determinare l’invalidità dell’accordo conciliativo, ove pure sottoscritto nella sede “fisica” dell’associazione sindacale. Ribadisce che, nel caso in esame, il lavoratore fu assistito dal rappresentante sindacale che partecipò all’incontro e sottoscrisse il verbale. Rileva che la locuzione contenuta nel verbale di conciliazione con cui si rinvia ad una “ratifica successiva (…) con le modalità inoppugnabili indicate dagli artt. 410 e 411 c.p.c.” si riferiva all’adempimento già realizzato con la sottoscrizione alla presenza e con l’assistenza del rappresentante sindacale.
8. Il ricorso non è fondato.
9. L’art. 2103, nel testo modificato dal d.lgs. 81 del 2015 applicabile ratione temporis, prevede al sesto comma: “Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro”.
10. L’art. 2113 c.c., al primo comma, definisce non valide le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile. Il quarto comma esclude il divieto, e quindi legittima le rinunzie e transazioni ove siano oggetto di “conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-quater del codice di procedura civile”.
11. Il legislatore ha ritenuto necessaria una forma peculiare di “protezione” del lavoratore, realizzata attraverso la previsione dell’invalidità delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili e l’introduzione di un termine di decadenza per l’impugnativa, così da riservare al lavoratore la possibilità di riflettere sulla convenienza dell’atto compiuto e di ricevere consigli al riguardo (così Cass. n. 11167 del 1991 in motivazione). Tale forma di protezione giuridica è non necessaria (art. 2113, ultimo comma c.c.) in presenza di adeguate garanzie costituite dall’intervento di organi pubblici qualificati, operanti in sedi cd. protette. Le disposizioni richiamate dall’ultimo comma dell’art. 2113 c.c. individuano quali sedi cd. protette, la sede giudiziale (artt. 185 e 420 c.p.c.), le commissioni di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, ora Ispettorato Territoriale del Lavoro (art. 410 e 411, commi 1 e 2, comma c.p.c.), le sedi sindacali (art. 411, comma 3, c.p.c.), oltre ai collegi di conciliazione e arbitrato (art. 412 ter e quater c.p.c.).
12. L’accordo conciliativo tra le parti in causa (integralmente trascritto alle pp. 4 e 5 del ricorso per cassazione) è stato concluso ai sensi degli “artt. 410 e 411 c.p.c. e 2113, 4° comma, cod. civ.”, come si legge nell’intestazione, e reca la precisazione che lo stesso è da “ratificarsi successivamente con le modalità inoppugnabili indicate agli artt. 410 e 411 c.p.c.” (v. ricorso p. 5, secondo cpv.).
13. È pacifico che tale adempimento non sia mai avvenuto e che l’accordo in esame è stato sottoscritto dal datore di lavoro e dal lavoratore, alla presenza di un rappresentante sindacale, presso i locali della società.
14. Tali modalità non soddisfano i requisiti normativa previsti ai fini della validità delle rinunce e transazioni (alle disposizioni richiamate e correttamente la sentenza impugnata ha dichiarato la nullità dell’accordo in esame).
15. Nel sistema normativo sopra descritto, la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l’assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere.
16. Le citate disposizioni del codice di procedura civile individuano infatti non solo gli organi dinanzi ai quali possono svolgersi le conciliazioni ma anche le sedi ove ciò può avvenire, come emerge in modo inequivoco dal tenore letterale delle stesse. L’art. 410 prevede che il tentativo di conciliazione possa avvenire “presso la commissione di conciliazione” e l’art. 411, terzo comma, fa riferimento alla conciliazione “in sede sindacale”.
17. L’assistenza prestata da rappresentanti sindacali (esponenti della organizzazione sindacale cui appartiene il lavoratore o, comunque, dal medesimo indicati, v. Cass. n. 4730 d 2002; n. 12858 del 2003; n. 13217 del 2008) deve essere effettiva e ha lo scopo di porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in che misura (v. Cass. n. 24024 del 2013; n. 21617 del 2018; n. 25796 del 2023; n. 18503 del 2023in motivazione), così da consentire l’espressione di un consenso informato e consapevole.
18. I luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono, pertanto, equipollenti, sia perché direttamente collegati all’organo deputato alla conciliazione e sia in ragione della finalità di lavoratore un ambiente neutro, estraneo al dominio e all’influenza della controparte datoriale (non depone in senso contrario Cass. n. 1975 del 2024, concernente una conciliazione ai sensi dell’art. 412 ter c.p.c.).
19. Le considerazioni svolte conducono al rigetto del ricorso principale, dovendosi ribadire che la conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell’art. 411, comma 3, c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore. Il ricorso incidentale condizionato è, di conseguenza, assorbito.
20. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
21. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge, con distrazione in favore dell’avv. … e dell’avv. …. , antistatari
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 dello stesso art.13, se dovuto.
Nota a Cass. ord. 15 aprile 2024, n. 10065